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Channel: slavina – malapecora
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Sesso, bugie e spazzolini da denti

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questa settimana la Posta del culo si occupa del poliamore, ma anche no…

quello che puó uno spazzolino 01 (omaggio a Annie Sprinkle)

Ciao Slavina,

vengo a te, un po’ perché ho sempre sognato di scrivere alla posta del cuore (figurati alla posta del culo), un po’ perché un consiglio lo vorrei davvero e a volte è più facile chiederli a chi non si conosce che agli amici di una vita (molto, molto più facile).

Il tema è il poliamore, circa.

Ma andando con ordine e cercando di non essere prolissa:

sto con un ragazzo da circa 6 anni. Relazione nata chiusa e monogama dal punto di vista affettivo con degli spiragli di aperture esclusivamente sessuali in nome della sacrosanta sperimentazione (e curiosità, e divertimento, etc.). Inizialmente mi “vendo” come una disposta a chissà quali giochi e situazioni, mi rivelo per lui una sòla. L’amore è comunque molto e la gelosia moltissima, da entrambe le parti. Passano gli anni, si cerca periodicamente di lavorare, contemporaneamente, sui due fronti: gelosia/morbosità e apertura/relax in camera da letto. Lui sempre molto propositivo, io molto chiusa (spesso tacciata di bigottismo). In sintesi la sua idea è: io (lui, egli) ho bisogno di sperimentare a letto, di farlo con altre persone insieme a te, di orge, di scambi, di scopate-con-altre-mentre -so-che-tu-ti-scopi-felicemente-un-altro/a-e-poi-ci-rivediamo-e-ci-amiamo-ancora-di-più-e-chissenefrega-di-chi-ci-siamo-scopati. E non voglio dire che non sono d’accordo, ora, ma forse in passato non lo ero, ero molto spaventata e confusa e ogni discorso carico di buone intenzioni non si traduceva in realtà. Anche perché, parallelamente, nel sesso “semplice” a due non ci siamo mai trovati troppo: lo eccitano cose che a me semplicemente annoiano (senza moralismi di mezzo) e sono poco stimolata a chiedergli cosa vorrei invece io (forse non mi fanno impazzire le sue reazioni). Potrei essere ancora più sintetica: intellettualmente e affettivamente siamo sempre stati molto affini, sessualmente non si è mai trovata una felicità.

Ora, dopo 6 anni, mentre i progetti lavorativi (siamo entrambi web designer e lavoriamo da sempre insieme) ci danno sempre più soddisfazione e tutti ci vedono come una gran coppia (ahia! altro mio punto debolissimo: cosa pensano gli altri di me) siamo certamente più liberi: abbiamo fatto passi enormi per quanto riguarda la gelosia e il sesso è una roba un poco più leggera. Ma la comunicazione langue: ho delle grosse difficoltà a comunicare, in tutti i campi della mia vita. Io, che dentro di me sento un vulcano, che (ora! non qualche anno fa, data la mia dipendenza da lui) sento una gran voglia di libertà, di scoperta, io che sono sempre stata bi-curiosa e forse pansessuale (??), io che mi sono rotta il cazzo di molti tabù…non comunico. Ho sempre avuto un rapporto privilegiato con la menzogna, mentire è ciò che mi è sempre riuscito meglio, oltre all’omissione. Mi sottraggo alle responsabilità in questo modo.

E, qui vengo al dunque, vorrei parlargli di poliamore.
So già che ai suoi occhi il concetto non è una bestemmia ma non so esattamente come reagirebbe: se il sesso per lui è sempre stato un argomento free (e io in questo l’ho castrato fino a farlo sentire un “pervertito” solo per le mie gelosie) cosa penserebbe se improvvisamente gli andassi a parlare di relazioni affettive multiple? Penserebbe che mi piace un’altra persona, e avrebbe ragione. E mi piacciono entrambi, in modi diversi. E sono molto spaventata.
Non è la prima volta che mi piace un’altra persona da quando sto con lui ma è la prima volta che vorrei non viverla come un’infedeltà ma come una possibilità. Ma poi penso: non è il mio un pensiero comodo? Se ce l’avesse lui un’altr* che gli piace, come reagirei? Sarei davvero capace di gestire delle relazioni poliamorose (si dice così?) o è solo una cotta data dalla noia di 6 anni di sesso che potrebbe andare sicuramente meglio? E davvero lui non è “a rischio” di attrazione affettiva ma solo sessuale (e sono leggera e temporanea) come sembra farmi credere?

Altra cosa: finora mi sembrano tutti confusi sul poliamore. Alcuni “praticanti” mi sembrano proprio un po’ scemi: c’è chi lo presenta in maniera così superficiale da essere un po’ ridicolo, c’è chi mi sembra un santone in pace col mondo che parla di cose idilliache che ha raggiunto grazie allo spirito puro e leale del poliamore. Alcuni mi sembrano facenti parte di una setta (brrr) in cui è obbligatorio sorridere ed essere felici se la persona che ami se la spassa con un altro (o ti dice con tranquillità: “c’ho da fare ora, perché non chiami l’altr* tu* tip* e gli/le racconti i tuoi problemi?”), altri mi ricordano quei coglioni dei miei genitori che nei bei tempi andati non credevano nella coppia né nella famiglia e hanno fatto una marea di cose in nome di questo “non-credo” che ancora ricordano con sofferenza (sono poi rientrati entrambi ampiamente “nei ranghi”).

Insomma, Slavina, a parte andare dal Mago di Oz e chiedergli un po’ di coraggio, secondo te che devo fare?

Grazie intanto per avermi letta.
Mi permetto di darti un abbraccio virtuale

a presto,

Carlottaquellachenonvolevaessereprolissa

Cara Carlotta,
quante cose insieme :)
sperando di arrivare a sciogliere almeno uno dei nodi che mi presenti, ti dico intanto la mia sul poliamore e la gelosia. Prima di darti qualsiasi tipo di consiglio, mi sembra corretto che tu sappia da dove parlo.
Io sul poliamore non riesco a teorizzare. Lo pratico, e attraverso la pratica imparo delle modalitá di relazione che vanno bene per me e che spero vadano bene anche per chi amo. Credo che il senso piú profondo del concetto di poliamore – che la denominazione centrata sulla “quantitá” non coglie appieno – sia il fatto di potersi costruire una rete relazionale sessoaffettiva “su misura” quando i modelli normativi non ci soddisfano. E credo che ognuna se la fa e se la vive alla sua maniera.
Quando mi capita di fare coming out da poliamorosa, la prima domanda che m’arriva dritta in faccia (spesso con tanto d’occhi sbarrati) è “ma come fai a non impazzire di gelosia?”
Da non-teorica quale sono, lo posso spiegare solo raccontando una storia.
Sono a casa di un amante, sola.
All’improvviso noto nella sua libreria un oggetto che mi fa letteralmente tremare.
No, non una copia di Voglio la mamma… ma uno spazzolino.

quello che puó uno spazzolino 02 (omaggio a Annie Sprinkle)


Uno spazzolino rosa, appoggiato in bella vista su una delle mensole della libreria.
Di chi é?
Perchè sta lí?
Da quanto tempo ci sta? Non ricordavo di averlo visto l’ultima volta…
Di chi è?
Che cosa sta a significare?
Devo offendermi?
Devo risentirmi?
Devo far finta di niente? (impossibile, quel rosa è troppo squillante…)
Di chi è?
Nel frattempo, la stanza incomincia a girare su se stessa.
Mi metto seduta e fisso il mio volto riflesso nella finestra. Sí, sono io. E cosa voglio fare adesso, imparanoiarmi per uno spazzolino?
Ovviamente decido che di chiunque sia quello spazzolino e qualunque sia la ragione per la quale sta lí in esposizione non è affar mio, almeno per il momento.
Ho sempre qualcosa di meglio da fare che lasciarmi travolgere dalla gelosia. E se non ce l’ho lo posso trovare.
La storia finisce che ne parlo ridendo all’amante, il giorno successivo. Lo spazzolino era il suo, lo aveva usato in viaggio ed era rimasto fuori posto.

Ecco io della gelosia penso questo. Che esiste, come un sacco di altre emozioni “negative”, che si fa forte delle nostre insicurezze e mancanze ma soprattutto che sta a noi tenerla a freno. Io sono convinta che possiamo farlo, esattamente come facciamo con l’invidia, con il rancore, con il rimpianto. Se viviamo uno stato psicofisico soddisfacente possiamo controllare il potenziometro dei sentimenti di merda (non dico cancellarli del tutto ma almeno far sí che non ci avvelenino la vita). Se invece siamo stressate, insicure, stanche, insoddisfatte di noi stesse è sicuramente piú difficile confrontarsi con queste emozioni – ma il problema non sono loro, non è la gelosia. È che siamo stanche, insicure, stressate e insoddisfatte.
Ma ora veniamo al dunque, dolce Carlotta.
Tra le molte cose che mi racconti, l’unica che mi sembra veramente preoccupante è la questione della menzogna, della tua incapacitá di comunicare e rivendicare le tue necessitá e i tuoi desideri. Non lo dico per spaventarti, ma perchè credo che sia il punto centrale della questione e invece tendi ad evidenziare e problematizzare gli altri elementi della storia, che a mio modo di vedere sono molto meno importanti.
Dai molta importanza alla relazione col tuo fidanzato, al quale ti senti legata da un grosso debito di riconoscenza e col quale condividi una quotidianitá “matrimoniale” (impegni comuni, sesso insoddisfacente e un sacco di non detti, per non dire bugie) e sei arrivata a pensare al poliamore (pur non essendo del tutto convinta e forse neppure tanto affascinata dall’opzione) pur di non perderlo – anche se in realtá, se ho capito bene, il fatto è che ti stai semplicemente innamorando di un’altra persona.
Ecco secondo me si tratta piuttosto di questo: gli amori cominciano e finiscono, e forse il tuo amore imperfetto ma perfettamente funzionante è finito (almeno nella forma in cui l’hai sempre vissuto), e fai fatica a riconoscerlo.
Ti senti di dover qualcosa a questo ragazzo che ti ha introdotto al favoloso mondo della sperimentazione sessuale (occasione che mi sembra tu pensi di aver “sprecato” – NEIN, non hai sprecato niente… hai semplicemente preso quello che potevi prendere in quel momento); ragazzo col quale condividi un progetto creativo e lavorativo, dato non trascurabile … hai forse paura che lasciandolo tu debba rinunciare a certe cose che avete in comune? potrebbe non accettare di buon grado la separazione?
Scusa se ci vado giú dura ma come ti ho detto per me la questione non riguarda tanto il poliamore.
Per praticare il poliamore ti manca una delle basi fondamentali, che è la capacitá di negoziare chiaramente nel/le relazioni (sapendo riconoscere e comunicare ció che vuoi o non vuoi, a letto e fuori). Il poliamore è una scelta di vita che richiede un livello avanzato di “apertura” in senso comunicativo: per gestire piú relazioni amorose contemporaneamente è maggiormente necessaria una limpidezza di fondo – perchè non capirsi in 2 è abbastanza normale (e anche tranquillamente accettato…), ma non capirsi in 3, 4, 5 diventa un macello ingestibile.
Ma per ritornare a te signorina, secondo me poliamore o meno, omettere e mentire in uno spazio che dovrebbe essere quello del desiderio e della realizzazione del desiderio è una grande strunzat’. Quello è il problema, non il resto.
Una volta che ti prenderai la responsabilitá di esprimerti in merito a quello che senti e quello che vuoi (nel sesso ma anche nella vita) se ti andrá sperimenterai il poliamore, affronterai la gelosia e troverai il modo di coinvolgere pure il tuo ragazzo, se davvero il legame che vi unisce è cosí forte e magari ha solo bisogno di essere reinventato un po’.
Ma questo puoi scoprirlo solo se impari ad essere onesta, con gli altri e le altre ma soprattutto indovina con chi?

Ti restituisco l’abbraccio virtuale
piú lungo di 20 secondi, cosí parte la bottarella di ossitocina.

Qualsiasi cosa sceglierai di fare, buona fortuna signorina Carlotta.


la rivolta è bella, se è meticcia è meglio

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la turné di Devenir Perra si chiude, per il 2014, a Milano.
e siccome niente è per caso da Milano arriva questo testo, trovato su FB, che mi ha emozionato e che voglio condividere con voi.

barricata meticcia

Odio il razzismo, lo odio davvero.

Lo odio quando vedo le immagini delle centinaia di morti in mare, lo odio quando penso ad Abba e alle merde che hanno giudicato la sua vita meno di un pacchetto di biscotti, lo odio quando ci arrivano le immagini dei coloni che guardano come al cinema le bombe distruggere le vite di Gaza.
Odio il razzismo quando spinge la polizia ad uccidere un nero ogni 28 ore in Usa e quando una giuria non incrimina nemmeno l’agente che fredda Mike Brown inginocchiato a terra. Odio il razzismo quando la polizia sgombera una famiglia e lascia una bimba rom di pochi anni tra gli scatoloni sotto l’acqua mentre ammanetta e trascina a forza giù dalle scale il fratello di 16 e non l’avrebbe certo fatto con un bianco di corso Como.
Odio il razzismo ogni volta che su uno qualsiasi di quei disgustosi giornali leggo “rumeno ruba”, “egiziano stupra”, “albanese spaccia” e non conta nemmeno il verbo nè se è vero. Odio il razzismo e provo sempre rabbia, ma quando si abbatte su chi amo mi fa impazzire.
C’è razzismo perfino nel dire che se un’italiana alza la testa è un black block dei centri sociali ma se a non farsi calpestare è una nera allora è solo un’africana arrogante spalleggiata dai centri sociali.
Lo sbirro che in via Tracia dice al signore a fianco a me “parla italiano almeno, che siamo in Italia” ha ricevuto quel che meritava: un’intera piazza che scandiva cori in arabo, e poi sputi quando se ne andava veloce.

Probabilmente hanno paura, una paura fottuta quando ci vedono in cordone da così tante parti del mondo ma tutti insieme a cacciare la polizia dai quartieri, a mangiare in Piazza tajin, polenta e zighinì così buoni, parlare in così tante lingue diverse e riuscire ad organizzarci lo stesso per costruire territori resistenti e solidali…per essere fratelli.

Per tutti i fratelli e le sorelle, la rabbia monta a ondate, goccia dopo goccia, MILANO METICCIA!

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la mia richiesta speciale, alla cittá che in questo periodo mi vuole piú bene (ricambiata), è che alla fine dello spettacolo, quando si alzano le luci, io possa vedere qualche colore in piú.
nel resto d’Italia il pallore era un po’ troppo uniforme…

(grazie a Elena per il testo e a Macho per la foto)

Quest’anno che favola racconterai ai tuoi figli?

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Nelle campagne italiane lavorano, alla coltivazione e raccolta di frutta e verdura, piú di 800mila lavoratori stagionali.
La quasi totalitá della manodopera bracciantile è composta da persone migranti, arrivate in Italia dopo viaggi lunghi e faticosi che ad alcuni sono costati la vita. Fuggono via da guerre, dittature, dalla fame.
L’Italia li accoglie offrendo condizioni di lavoro, abitative e di accesso ai servizi particolarmente infami: gli tocca spostarsi continuamente, poichè le nuove leggi sull’immigrazione hanno istituito, di fatto, il reato di disoccupazione.
A loro non tocca nemmeno una stalla col bue e l’asinello ma al massimo delle tendopoli che li lasciano in inverno al freddo e al gelo.

Proprio come quel bambino con i suoi genitori Maria e Giuseppe, la cui storia di poveri viandanti si racconta ai bambini quando gli spiegate cos’è il Natale.

Questo Natale, che favola gli racconterai ai tuoi figli?

non sono amiche, sono leccafiche (eterosessualitá obbligatoria ed educazione)

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il titolo è la traduzione non proprio letterale di “no son amigas, se comen el coño” articolo rabbioso ma pieno di spunti interessanti che ho voluto tradurre; la lettura è raccomandata a genitori e affini ma piú in generale a chiunque abbia a che fare con delle piccole persone, quotidianamente o in maniera saltuaria

(grazie a the violet balloon – di cui vi consiglio anche il post sull’Operación Pandora [brilliant!] – i grassetti sono suoi, i corsivi miei)

Uscire dall’armadio [espressione spagnola equivalente al fare coming out, ovvero dichiararsi diversamente sessuati, ndt] non è facile.
Educare un bambino o una bambina perchè non debba mai uscire da nessun armadio è una sfida totale.

mini pony e unicorni: emblemi della dissidenza sessuale?

Quando avevo l’etá che ha adesso mio figlio, ero innamorata della mia migliore amica: Mariona Matagalls. Lo ricordo perfettamente: i suoi morbidi capelli biondi e lisci, i suoi graziosi codini, la visione delle sue mutandine blu mare in una occasione in cui, mentre giocavamo, le si alzó la gonna. Avevo quattro anni. Come prova di eterno amore le regalai un Mini Pony. Anni dopo sono venuta a sapere che i colorati Mini Pony si sono trasformati in un simbolo della diversitá sessuale mentre gli unicorni sono simbolo della bisessualitá. La vita ti fa questo tipo di scherzi. Mia madre racconta ogni Natale di quel giorno del periodo natalizio in cui mi avvicinai a lei con un’espressione grave, facendole la seguente cerimoniosa confessione “Mamma, sono lesbica”. E che lei, con la stessa serietá, mi rispose che mi amava lo stesso, indipendentemente da chi io amassi, che l’importante era che io fossi felice. Lo racconta ridendo molto di questa bambina drammatica e sofisticata, sottintendendo che era una strategia per attrarre l’attenzione. Un gioco. Non so da dove tirai fuori la parola “lesbica”, in ogni caso è buono poter disporre di parole per dire le cose. È per questo che non risparmio sul vocabolario con mio figlio; il sangue mestruale è sangue mestruale e il pene è il pene, poi è lui che si incarica di inventare “sangue magico”, “pipino” e altri fantasiosi epiteti. E questo non perchè voglio farne un pedante o per la mia formazione da filologa, ma perchè possedere la parola giusta per liberare una realtá vivida, per comunicarla, ha proprietá salvifiche, amplia il mondo che abitiamo ed è il tratto primordiale della lingua materna: una lingua in cui le parole coincidono con le cose. […]

L’eteronormativitá obbligatoria uccide. Non esagero. Voglio ricordarlo perchè spesso osservo che non ce lo abbiamo sufficientemente presente quando ci relazioniamo coi bambini e le bambine. Come se le bandiere con l’arcobaleno, il glamour drag e i coriandoli del Gay Pride fossero una specie di escrescenza frivola, il prodotto di una serie di freaks simpatici, il buffone frocio del re e non una articolazione politica molto seria. Ho visto come un amico etero – di questi etero senza dubbi, senza nessuna breccia – recriminava a un’amica lesbica la sua supposta viltá per non uscire dall’armadio sul posto di lavoro, sapendo che il suo migliore amico del liceo si era suicidato a causa del rifiuto della sua famiglia. Potrei darvi molti esempi di questo atteggiamento, peró non ce n’è bisogno, tutte li conosciamo. Osservo con orrore che delle donne che stanno insieme in una relazione di coppia con frequenza si continua a dire che sono “amiche”. Non sono “amiche”, signori, sono leccafiche, come leggevo l’altro giorno in una foto di uno striscione della manifestazione dell’Orgoglio a Madrid.

Per questo quando a mio figlio qualcuno chiede maliziosamente se le piace qualche bambina della sua classe o se ha la “fidanzata”, mi si gela il sangue. Per questo quando mio figlio gioca con le sue amiche e qualcuno fa un commento sessualizzando la loro relazione, incastrandola in un modello romantico ed eteronormativo, mi viene voglia di scuotere con violenza quella persona e gridargli “Ma sei idiota?”. Punto primo: non dare per scontato che mio figlio sia eterosessuale. Punto secondo: non dar nemmeno per scontato che mio figlio sia gay. Punto terzo: fatti gli affari tuoi e mantieni la tua immondizia eteronormativa lontana dalla mia famiglia. Non dare per scontato che aver costruito un nido d’amore con un uomo eterosessuale significhi che io abbia superato la mia “fase lesbica” o che il padre di mio figlio sia un uomo stile John Wayne, perchè magari è piú frocio di quello che pensi. […]
Sia come sia, e parlando chiaro: eterosessuale non significa eteronormativo (Grazie a Dio!) sebbene ci sia bisogno di lavorare duro perchè non sia cosí. In questo nido strampalato il glitter e le cicatrici sono benvenute. Non dare per scontato che perchè a mio figlio faccia impazzire il rosa questo determinerá il suo orientamento sessuale. Capito?

crescendo fuori dalla norma

Dopo il primo amore – non corrisposto – con Mariona, la bimba bionda coi codini, ce ne furono altri, uomini e donne. E, con loro, una lunga decostruzione del mio armadio. Ho tolto ogni singolo chiodo che teneva in piedi la struttura con molta difficoltá, a volte lasciandoci la pelle, con le dita maciullate. Ma anche con immenso piacere, libertá e godimento. Le stesse sensazioni che vibrano nell’aria quando constato che il padre postpatriarcale ha una relazione profondamente epidermica con mio figlio. Quando operarono mio figlio di criptorchidia, in sala rianimazione, chiamava suo padre, non me. L’infermiere commentó che era un caso inusuale, si suppone che i bambini chiamino la mamma. Come spiegargli che l’uomo che non si compromette sensualmente, che si contiene, quello con la pelle dura, è vincolato intimamente con la mascolinitá tradizionale. L’uomo che non sa toccare altri uomini, che non si permette di godere di questa carezza – sebbene identificandosi come etero – che si irrigidisce quando l’altro gli propone un abbraccio che magari dura piú del consentito… è che semplicemente ha mangiato il seme dell’omofobia. Per questo considero che la tenerezza tra il mio compagno – quest’uomo eterosessuale – e mio figlio è politica. Ogni bacio, ogni abbraccio, ogni “ti amo” tra un padre e qualsiasi figura mascolina che formi parte della quotidianitá di mio figlio fanno che l’armadio, questo pezzo scomodo del corredo che la societá e noi stessi, quasi per difetto, lasciamo alle nostre creature, sia piú facile da smontare, piú fragile. Questa tenerezza maschile compie anche un’altra funzione: pone in evidenza la sterilitá simbolica del macho. Il macho etero, il protagonista dei film porno mainstream, il patriarca e il mini-maschione che si nega a giocare a cambiare pannolini perchè gli sembra sconveniente, diciamolo apertamente: è un gran represso, soffre di frigiditá simbolica. Non gode, finge di godere. Non si compromette, si mutila per non sentire. Che qualcuno rompa il suo armadio con un’ascia! Magari a mio figlio bastasse un soffio per rompere il suo, se un giorno ne avrá bisogno. In questa casa non aspetteremo di scoprire i tagli sulle sue dita, cominciamo a soffiare da ora, come il lupo ambizioso dei Tre porcellini (in questo caso i porcellini si chiamano Patriarcato, Eteronormativitá e Violenza Patriarcale) per lui e per tutti i bambini e le bambine che domani faranno di questo mondo un posto migliore.

(entrando in fase premestruale…)

Bibliografia [in spagnolo e inglese]

-DIOS, OLGA de, Monstruo Rosa, Zaragoza, Apila Ediciones, 2013

-MURARO, Luisa, El orden simbólico de la Madre, Madrid, Horas y HORAS, 1994.

-SAU, Victoria, Paternidades, Barcelona, Icaria Editorial, 2010

-Tomboy, de Céline Sciamma (Francia, 2011)

-WARD, Jane: <> en http://feministpigs.blogspot.com.es/2011/10/queer-parenting-for-heteros-anyone-else.html (cons. 7 de Marzo 2013).

[se avete titoli interessanti da suggerire fatelo nei commenti, grazie!]

al freddo e al gelo

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immagine di Silvia Shah Potenza

QUESTO NATALE, CHE FAVOLA HAI RACCONTATO AI TUOI FIGLI?

Comunicato di presentazione del video “Al freddo e al gelo”

É complicato, nell’Italia dei nostri giorni, parlare di privilegio e provare a marcare una distinzione tra quelli che dovrebbero essere i diritti di tutti e tutte e quelli che sono, invece, dei vantaggi acquisiti grazie al gioco sporco del Capitalismo, che ci divide et impera concedendo e togliendo secondo le sue logiche inumane.

In un paese bastonato dalla crisi, con dei livelli di disoccupazione e precarietá impressionanti e dove l’ossessione competitiva ha soppiantato violentemente la cultura della solidarietá, occuparsi di temi come l’accoglienza e la dignitá del lavoro di chi ha meno diritti è un compito veramente ingrato.
Peró mi aveva colpito al cuore la storia dei braccianti di Saluzzo, abbandonati al loro destino dopo la stagione della raccolta, e avevo voglia di raccontarla. E si avvicinava Natale, il periodo dell’anno nel quale si dice che “siamo tutti piú buoni”…

Cosí, supportata da un manipolo di persone coraggiose e generose, ho deciso di prendermi la responsabilitá di mettere in scena una performance provocatoria, che gioca con l’iconografia di un personaggio molto caro alla cultura religiosa del nostro paese.
É una Madonna quella che ho scelto di rappresentare, la Madonna madre di tutti e tutte, che in questo caso non puó trattenere il suo sdegno davanti al trattamento riservato dalle istituzioni della fortezza Europa alle persone che arrivano in questa parte di mondo in cerca di un futuro migliore. Il suo sdegno davanti allo sfruttamento criminale delle loro vite da parte di un sistema economico che trae benefici dalla loro condizione oscenamente precaria, davanti al razzismo che imbarbarisce e rende nemici tra loro i nuovi poveri e i poverissimi nuovi arrivati.

Nel mercato del lavoro, con la scusa della crisi economica, anche i soggetti sociali in condizioni meno marginali dei braccianti stranieri vivono il ricatto della precarietá. Peró nel caso di chi lavora la Terra nel settore della produzione agricola intensiva la pressione è inimmaginabile.
All’interno del sistema della grande distribuzione e dei mercati esposti alla competizione internazionale, i prezzi dei prodotti ortofrutticoli sono imposti unilateralmente da multinazionali ed ipermercati, i piccoli produttori sono progressivamente impoveriti o esclusi e la manodopera ipersfruttata.

Spesso mangiamo veleno.
Non solo quando il cibo che consumiamo implica lo sfruttamento animale, non solo perché le coltivazioni sorgono spesso su terreni avvelenati dai rifiuti, ma perché il cuore di tutta la produzione è basato sulla ricattabilitá dei soggetti piú deboli coinvolti (che anche quando in teoria dovrebbero aver garantiti i diritti fondamentali, come la cittadinanza europea nel caso dei migranti romeni, sono spesso vittime di un sistema di dipendenza feudale – vedi il caso delle schiave sessuali nelle campagne del ragusano).

Consumare meno, consumare meglio – e farlo in maniera critica, chiedendoci sempre da dove viene ció che ci nutre, costruendo reti con le realtá che cercano di produrre in maniera etica. Forse se riuscissimo ad occuparci di piú di cosa mangiamo ci ammaleremmo meno…

E per tornare a esplicitare il troppo poco frequentato concetto di privilegio, abituarci a riconoscere che tutti i prodotti del lavoro umano, quando ci vengono offerti ad un prezzo che riteniamo estremamente conveniente, non sono regali del Capitalismo: qualche altra persona li ha giá pagati al posto nostro. Con il suo sudore e a volte col sangue.

Il sangue è l’elemento disturbante del video, simbolo di sofferenza indicibile messo in scena per infastidire, per provocare disagio, per molestare le coscienze di quel settore della societá che si definisce religioso solo quando si tratta di affermare con violenza la sua morale, ma sembra aver dimenticato del tutto il fondamento etico del cristianesimo, l’amore per il prossimo.
Il corpo nudo invece – e l’ostentazione della yoni, la vulva sacra che simbolizza il passaggio tra la vita e la morte – è per me la rivendicazione della potenza femminile e della materialitá del divino.

Oscena è la visione della vulva, che a molti risulta piú scandalosa di un corpo morto recuperato dal mare – cosí come fuori dalla scena delle narrazioni dominanti rimangono le storie di dolore e sfruttamento delle persone schiave del sistema ingiusto che ci domina e del quale, per superficialitá o pigrizia, rischiamo di farci complici.

alcuni link utili alla comprensione del fenomeno:

- il “caso” Saluzzo

http://coobra.noblogs.org/post/2014/12/14/1190/

- lo sfruttamento umanitario del lavoro nelle campagne del mezzogiorno

http://www.connessioniprecarie.org/2014/11/04/oltre-la-clandestinita-lo-sfruttamento-umanitario-del-lavoro-nelle-campagne-del-mezzogiorno/

- il ritorno del lavoro “a cottimo”

http://www.connessioniprecarie.org/2012/07/25/la-normalita-a-cottimo-ritornare-a-nardo-a-un-anno-dallo-sciopero/

- le “schiave sessuali” nel ragusano

http://espresso.repubblica.it/inchieste/2014/09/15/news/violentate-nel-silenzio-dei-campi-a-ragusa-il-nuovo-orrore-delle-schiave-rumene-1.180119


– coordinamento nazionale pratiche di lotta e vertenziali in agricoltura

http://campagneinlotta.org/?lang=en

- comunitá in lotta per l’autodeterminazione alimentare

http://genuinoclandestino.noblogs.org/

- gruppi d’acquisto solidale

http://www.retegas.org/

grazie a:
Shah – foto fissa e supporto logistico
Dirk – fotografia e montaggio
Pierinik – musica
Ivo – consulenza legale
Manu e Cecia – ispirazione e fomento
Alessandra e Irene – supporto informativo
Lucre e Leil – traduzioni e revisioni
Macho e Giovanal – effetti speciali
Killerina – editing testo
e grazie alla Virgen de Guadalupe
e a chiunque abbia diffuso il video e lo diffonderá.

efecte Ciutat Morta

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Llevo días raros, con la ilusión de estar saliendo de una pequeña depresión y el miedo a que en realidad no se me haya pasado para nada.

Intento apegarme a todo lo que conlleve un mínimo de buen rollo y flipo por el hecho de que el subidon por el enorme éxito de Ciutat morta (documental que relata los acontecimientos del #4F) no consiga contagiarme.

Sigo teniendo mucha rabia y desconfío del entusiasmo superficial de lxs televidentes, de la peña que – ahora que HA VISTO – ya se lo puede creer.

Me cabrean las intervenciones indignadas tan tardías, ahora que los hechos están en la boca de todxs y que “no se puede estar calladxs”. La síndrome del Trending Topic.

Cuando leí el articulo de Jordi Evole en el Periodico me dió ganas de llorar de rabia. Ahora el Follonero veía mierda flotando – que bien… nosotras nadamos en ella durante años y seguimos, no hay que mirar un poco mas allá de la basura televisada para saberlo (hay MILES de casos como el #4F… el ultimo se llama #OperaciónPandora: 7 personas están en la cárcel y 4 esperan el juicio fuera, con acusaciones gordas como ir a visitar peña en la cárcel, participar a manifestaciones y leer libros subversivos – no, no es broma).

Yo me hice la cuenta del Twitter cuando se armó el Desmontaje4F, en 2011, poco después de la muerte de Patri. Y me encargué de dar personalmente la lata (con mi cuenta y la del grupo) a gente como el señor Evole, autoridad del periodismo de investigación, para que se ocuparan del caso ya que la sentencia que condenaba los Guardias Urbanos torturadores de Rodri, Patri y los otros había cambiado las cartas en la mesa. Al menos, así nos parecía a nosotras…

Nadie de los famosos nos hizo caso, obviamente.

Bueno, sí, igual mi rabia es porqué me lo tomo como un hecho personal y tendría que ser capaz de relativizar. Es que, ya lo he dicho, ando un poco deprimida.

Entonces me pregunto cuantas peticiones al vacío hizo Mariana, la madre de Rodrigo… y me digo que conocer a ella, su determinación dulce y su valentía fue una de las cosas mas potentes y enriquecedoras de estos últimos años de mi vida (desde cuando, siendo madre, siempre voy buscando Maternidades ejemplares).

Es que la verdad es que entre la mierda nacen las flores mas bonitas, como dice un poeta de mi pais

Así que ahora un poco desconfío de todo este revuelo, de esta empatía catodica de prime time.

Me parece sospechoso, tengo miedo a la opinión publica y a la estupidez de las masas, a su solidaridad superficial y su corta memoria.

El Sistema no es capaz de condenarse a si mismo y me da miedo que la solución de todo esto sea que nos asimilen… o que den la vuelta a la tortilla, otra vez separando los buenos de los malos y los inocentes de los supuestos culpables.

Y será que sigo estando deprimida, pero me duele el alma si pienso que todo esto ha podido pasar solo porqué la Patri se ha matado… que vale, el docu es una obra maestra y el montaje está explicado bien y queda bastante en evidencia, pero la verdad que golpea mas duro (mas del minuto de hostias que te deja sin aliento) es la de la chica rarita que se auto condenó a muerte para no poder aguantar mas. La Poeta muerta que ahora durante 15 minutos hace doler el corazon y las conciencias de quien durmió tranquilamente durante 9 años y volverá a dormirse pronto.

Y (será que estoy deprimida, ya lo he dicho?) pero yo sigo moqueando y llena de rabia, porqué para mi sin ella no hay victorias o salidas posibles.

desmontaje4f

¿Porqué me junté con el Desmontaje4F entonces?

Para que se supiera la verdad, primero. Porqué tenia la ilusión que destapando una semejante injusticia se podrían poner en dudas muchas condenas de chivos expiatorios mas. En esto tendríamos que trabajar: reabrir el #4F pero aun mas, cuestionando muchos otros montajes (y hay bastantes entre que elegir, lamentablemente).

Segundo, porqué creo que en mundo capitalista donde pagamos hasta el aire que respiramos (y donde los abogados y los juicios se pagan), las personas damnificadas tengan derecho a una compensanción económica, que nunca corresponderá a lo sufrido pero será una pequeña forma reparación.

Y ultimo, porqué aunque me hubiera gustado no habría sido capaz de matar con mis propias manos esta gente que, como dijo bien Diana, un día decidió que sus mentiras valían mas de nuestras vidas.

Porqué siempre he creído en la política desde las bases, porqué si la justicia existe no la hacen los tribunales, porqué a veces necesito gritar mi rabia y juntarme con quien tiene la misma rabia y los mismos ideales de justicia que yo (aunque a veces me doy cuenta que no tanto…)

Porqué en mi vida he ido a mas manifestaciones que fiestas en discoteca… y por esta razón [aunque esto sea un momento de mi vida en que me pregunto muy a menudo que sentido haya tenido ir a tantas manis - pero es porqué, lo habréis entendido a este punto, estoy deprimida…] estaré también el próximo 4 de febrero a lado de mis compañeras del Desmontaje4F (que las hay que vuelven de todos los sexilios imaginables), de Rodri, de Mariana y de toda la peña que querrá gritar y exigir #NoMas4F, para la verdad y la reparación.

[Y si vamos a ser 500 y algo de miles (así como los datos de audiencia del documental en TV3) creo que se me pasa hasta la depresión]

Io porno – immagini del desiderio

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LESBICHE FUORISALONE
Lesbian & Queer cultural harassment

presenta

 

IO PORNO – immagini del desiderio
un esperimento di autoproduzione pornografica per donne, lesbiche e trans

 

immagine di Francesca Woodman

Il laboratorio si propone come spazio di riflessione e creazione di immagini che possano rappresentare la nostra bellezza e il nostro desiderio fuori dagli standard mercantili e dell’oppressione patriarcale.
Vogliamo riappropriarci della visione di noi stesse come soggetti carnali e riscoprire la potenza evocativa di un erotismo che superi le finzioni plastificate dell’immaginario mainstream.

Il percorso di ricerca che proponiamo per le due giornate del 14 e 15 febbraio si aprirá con un momento dedicato alla teoria e alla conoscenza: ci scambieremo informazioni e materiali diversi sul sesso e sulla sua rappresentazione per preparare la seconda parte del laboratorio, quella in cui cercheremo di ricreare, attraverso delle session fotografiche, immagini che rispecchino le nostre fantasie e l’idea del nostro se’ desiderante e desiderabile.

Il laboratorio è organizzato e promosso dal festival Lesbiche Fuorisalone, è riservato a donne, lesbiche e trans, ha un costo di 30 euro e si terrá alla Casa delle donne di Milano nelle giornate di sabato 14 e domenica 15 febbraio, dalle 16 alle 20.

La quota di partecipazione va versata in anticipo.

Per informazioni ed iscrizioni scrivere a lesbiche.fuorisalone@gmail.com
Ogni partecipante deciderá in autonomia il suo livello di implicazione e i materiali prodotti all’interno del laboratorio rimarranno di proprietá delle partecipanti (decideremo insieme se e come utilizzarli, nel caso avessimo voglia e ci fosse la possibilitá di farne un uso pubblico)

Lo scandalo del MACBa (di bestie, sovrani e altre oscenitá)

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Il mondo della cultura spagnolo qualche giorno fa è stato scosso da una serie di eventi che hanno coinvolto il MACBa, museo di arte contemporanea e orgoglio della cittá di Barcelona, e che per una serie di motivazioni politiche e personali sento l’urgenza di raccontare (senza alcuna pretesa di obiettivitá: sono una proletaria dell’arte, una metalmeccanica dell’immaginario, una precaria alla deriva – e da questa posizione scrivo e descrivo).

Il MACBa non è solo è un’istituzione rispettata, dalla programmazione all’avanguardia e strettamente connessa con il brand Barcelona (la maggioranza delle persone che conosco vi è entrata durante il Sonar, forse senza capire nemmeno bene dove stava), ma è soprattutto il luogo in cui nell’ormai sideralmente lontano 2003, si tenne, con la direzione di Paul B. Preciado (ai tempi conosciuto come Beatriz), la mitica Maratona Postporno, uno dei primi eventi di riflessione pubblica e partecipata sulla pornografia a livello europeo.

Piú di 10 anni dopo la pornografia è un tema piú che esplorato, discusso, analizzato dalla cultura “alta”; ci sono pornostar che scrivono di filosofia e filosofi che analizzano la pornografia, le produzioni pornografiche vecchie e nuove vengono ormai considerate prodotti culturali e come tali valorizzate e i temi e stilemi che contraddistinguono il genere hanno ormai invaso il mediascape, influenzando il consumo di massa. L’osceno ha occupato il centro della scena, disvelando pratiche e teorie che, anche quando sono state sussunte dal mercato, hanno determinato processi, seppur contraddittori, di liberazione.

Se tutto ció è potuto succedere si deve anche al lavoro di intellettuali come Preciado, che hanno sdoganato l’argomento riprendendo le riflessioni del femminismo prosex piú ardito e promuovendo il lavoro di artiste e ricercatrici poco conosciute o osteggiate dalla cultura ufficiale.

Paul B. Preciado

Preciado è (o sarebbe meglio dire era) da anni consulente del MACBa e docente nel suo Programma di Studi Indipendenti (PEI), scuola di alta specializzazione in ambito artistico e culturale. Il suo ruolo di snodo tra l’istituzione museale e la controcultura piú innovativa ed estrema è innegabile, cosí come, d’altra parte, lo è (era?) la sua completa integrazione ed internitá a certe ineludibili dinamiche di potere.

Ma torniamo al MACBa e al pasticciaccio brutto che ha portato alle dimissioni del direttore del Museo, Bartolomeu Marí, che come ultimo atto della sua gestione ha estromesso dalle loro funzioni Preciado (Capo dei programmi pubblici) e Valentí Roma (Conservatore capo), entrambi curatori de La bestia e il sovrano, mostra che doveva aprire i battenti la settimana scorsa.

Il casus belli è un’opera che fa parte dell’esposizione, una scultura dell’austriaca Ines Doujak che rappresenta in maniera caricaturale l’asimmetria delle relazioni coloniali raffigurando un atto di sodomia nei confronti di un personaggio riconoscibile come l’ex sovrano spagnolo, Juan Carlos I. Il direttore del museo, scoprendola – a suo dire - solo il giorno prima dell’inaugurazione e ritenendola “inappropriata” ne aveva chiesto il ritiro. Vista la risposta negativa dei curatori (Hans D.Christ e Iris Dressler, oltre ai due giá citati), aveva quindi decretato la chiusura della mostra nel giorno stesso dell’inaugurazione.

HC4 Trasport di Ines Doujak

A seguito di questo atto di censura, la comunitá artistica della cittá catalana aveva alzato la voce, denunciando il fatto con comunicati pubblici ed esigendo la riapertura della mostra, nella sua integritá, con una manifestazione.

La ripercussione mediatica del fattaccio (con vari annessi riguardanti non solo l’autonomia dell’arte ma anche temi meno “astratti” come l’irresponsabilitá nella gestione dei fondi pubblici per la cultura – il budget di questa operazione è di 240.000 euro) è stata cosí rilevante da costringere Marí alle dimissioni, che ha presentato non senza prima esigere la destituzione di Preciado e Roma.

Tira una brutta aria nel mondo dell’arte, in Spagna.

Un paio di direttori di istituzioni culturali sono stati fatti fuori negli ultimi mesi, si sospetta per le loro simpatie per Podemos, partitino di sinistra che fa tremare il bipolarismo PPSOE.

Quando sono emigrata in Spagna – o per meglio dire, in Catalunya – 10 anni fa, mi sembró di arrivare nel paese delle meraviglie. Le cose che in Italia facevamo con molto sforzo e ampiamente al di fuori delle istituzioni artistiche (in centri sociali o associazioni piú che undergound) a Barcellona ricevevano l’attenzione e a volte anche il supporto istituzionale. Non voglio dire che tutto fosse schiacciato e contemplato all’interno del mainstream – ma di sicuro c’era spazio, nella cultura ufficiale, anche per proposte artistiche non convenzionali, di rilevanza sociale, sovversive. Ed esistevano addirittura fondi pubblici per la produzione e promozione dell’arte, a cui potevi avere accesso tramite concorsi che li assegnavano in base all’interesse e al merito (pazzesco, vero?). Per arrivarci non dovevi essere parente di nessuno, bastava avere una buona idea e un bel curriculum.

In questi 10 anni, complice una crisi economica brutale, il paese delle meraviglie si è trasformato in un girone infernale, nel quale la repressione ha chiuso e spesso raso al suolo i centri di produzione culturale indipendenti (le okupas) e dove festival ed eventi sulla breccia da decenni sono costretti a chiudere a causa della mancanza di fondi.

E non posso che leggere la cacciata di Preciado dal MACBa come lo schiaffo finale, l’ennesima saracinesca che si chiude con schianto, l’ultimo insulto alla Barcelona che non voleva essere Karcelona, il luna park a cielo aperto, il giocattolo per stranieri costruito ad uso e consumo del turismo di massa che tanto amano alcuni miei compatrioti.

(d’altronde in un paese che sta per approvare una legge che illegalizza qualsiasi forma di protesta e dove giá partecipare a una manifestazione pacifica ti puó costare 3 anni di prigione, questo affaire delle alte sfere della cultura assume una rilevanza relativa… peró, senza dubbio, fa parte dello stesso frame)

 


Art for porn – le mie raccomandazioni (capitolo 1)

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Comincia oggi a Milano un evento che forse non ha bisogno di presentazioni (ma io lo presento lo stesso, perché ridondare è bello).

Art for Porn è un’iniziativa delle Ragazze del porno, gruppo di cui faccio parte e la cui natura, scopi e risultati incuriosisce come scimmie amiche, sodali e conoscenti. Questo post peró non è pensato per soddisfare la vostra curiositá in proposito ma per ringraziare alcune persone che hanno messo a disposizione la loro arte per aiutarci nel compito (abbastanza ingrato per delle creative ma ormai ahimé necessario per chiunque voglia produrre cultura) di guadagnare dei soldi per avere i mezzi tecnici che ci consentano di portare avanti il nostro progetto.

postEmmanuelle (Slavina vista da Alessandra Tisato)

Se tutto va bene, ad Ottobre usciremo con i primi tre corti della raccolta. Insight, quello che firmiamo io e Lidia Ravviso con la sua regia è giá stato girato ed è in una fase avanzata del montaggio mentre Queen Kong e Mani di velluto, quelli di Monica Stambrini e Regina Orioli, sono in fase di preproduzione. Ognuna lavora in autonomia, ci sosteniamo a vicenda e ci consigliamo. A volte su alcune scelte non siamo d’accordo ma il tentativo è quello di operare l’una nel rispetto dell’altra, potenziandoci senza limitare la libertá creativa di ognuna. Il sesso è bello perché è vario, che sia femminile, femminista, queer o vattelapesca.

E se ne volete sapere di piú potete iscrivervi alla newsletter o seguirci attraverso il sito (al quale collaboriamo in vario modo tutte insieme all’agenzia FillBlank, che ci aiuta nella promozione).

Ma veniamo ad Art for Porn e ad alcune delle opere che troverete esposte a Le Dictateur questo finesettimana.

Penis di Erika Zanatta Figabomba (in collaborazione con Alessandra Tisato)

Penis

Due fotografe e un progetto di libro che racconta le storie di donne speciali attraverso i loro corpi. Penis è un frammento di un’opera piú vasta, un road-book che Erika e Alessandra stanno autoproducendo e che rappresenta il caleidoscopio delle loro esperienze artistiche e umane nel mondo della body art, della performance, dell’Alt Porn nel quale navigano entrambe da molti anni. Fotografe e modelle nella piattaforma SuicideGirls, avanguardia di un genere che è ormai un classico della pornografia mondiale, le due hanno maturato uno sguardo proprio e originale che le ha spinte ad andare piú in lá del formato commerciale.

La bellezza di Manko, la modella ritratta in Penis in tutto il suo pallido splendore, è prepotente, abbaglia, confonde. Il gesto autoerotico è di sfida e l’ambiguitá delle sue forme di ultradonna occhieggia dallo slip: che cosa ci sará sotto quelle mutande?

Donna è chi la donna fa – e in un mondo che ci vorrebbe zitte e sottomesse al desiderio altrui questa continua ad essere una grande sfida.

 

Khaos di Luca Jacob Cogas

untitled (Luca Jacob Cogas)

Se c’è qualcuno che riesce a interpretare e dare forma all’ecosessualitá (il movimento estetico-politico promosso da Annie Sprinkle e Beth Stephens), quello è Luca.

Agli artisti non viene richiesta coerenza: possono essere capaci di produrre opere sublimi ed essere persone meschine (un nome per tutti, quello di Jacques Louis David, maestro del neoclassicismo e orrendo voltagabbana). Eppure quando la vita riesce a coincidere con l’opera, la forza che questa trasmette ha qualcosa di piú scintillante, piú autentico. Cattura e trascina.

Le fotografie della serie Khaos superano la dialettica essere umano-Natura. I personaggi ritratti trascendono le loro forme umane e la Natura mostra un volto segreto, accessibile solo a coloro che la prendono come amanti.

untitled (Luca Jacob Cogas)

Luca è un viaggiatore, un’anima nomade che si muove nel mondo con il passo leggero e le scarpe pesanti. Il suo sorriso trasmette la stessa armonia che pervade le sue immagini, che non rappresentano l’incanto facile, non fermano la bellezza ma rappresentano un continuum silenzioso con la Terra e le sue meraviglie.

Le sue prospettive non sono mai banali e i corpi rappresentati, pur rispondendo a dei criteri di plasticitá classica superano gli stereotipi, reinventano l’umano in una forma che non è solo compatibile con l’ambiente, ma sensualmente integrata, inscindibile.

untitled (Luca Jacob Cogas)

In un mondo adulterato, le raffigurazioni del Khaos rivendicano una bellezza autentica e possibile.

untitled (Luca Jacob Cogas)

[…] Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s’abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.
Lo sguardo fruga d’intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno piú languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità. […]
(da I limoni – E. Montale)

(continua, ma intanto ringrazio Claudia Torresani per la preziosa e indispensabile collaborazione)

Art for porn – le mie raccomandazioni (capitolo 2)

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Nel giorno del finissage di Art for Porn eccomi con altre raccomandazioni, che spero vi spingano ad arrivare fino a Le Dictateur, se siete a Milano (chiude alle 22 di oggi)

Green room e Night dew di Silvia Potenza (aka Shah)

Green Room

Green Room

La ricerca artistica di Shah si muove tra due estremi apparentemente dissonanti: da una parte l’amore per le onde e per il loro movimento inafferrabile, dall’altra la passione per l’infinitesimo dettaglio, nella microscopica espressivitá degli elementi del mondo vegetale.

Il risultato è poesia per gli occhi, è la cattura di un momento che sfugge all’occhio umano e che ci parla in maniera diretta e spudorata, rendendo visibile ed accessibile una bellezza che solo attraverso un uso sapiente ed estremamente consapevole della tecnica fotografica (che l’autrice esplora da diversi anni) possiamo percepire.

Night Dew

Night Dew

Le onde costruiscono architetture perfette ed effimere, i pistilli bagnati di rugiada non sono solo metafore di un godimento che conosciamo: la Natura ci viene offerta nella sua ineffabile armonia ed è improvvisamente vicina, leggibile ed attraversabile. La sua potenza paurosa si rivela in tutto il suo incanto; è da guardare, capire e rispettare come una divinitá magnificamente benigna.

 

Bondage alla Muestra Marrana di Claudia Pajewski

Bondage

Bondage

L’opera di Claudia fa parte di un reportage sulla postpornografia che l’autrice porta avanti di alcuni anni.

Il suo percorso di investigazione sul queer come estetica e come elemento aggregativo comunitario è cominciato con Phag Off, storica festa romana d’inizio secolo, alla quale partecipava come fotografa ufficiale (The best is yet to cum ne è il suo fulminante e meraviglioso ritratto).

Anche in Bondage c’è un pezzo di storia: il valore dell’immagine trascende il suo fascino crudo, la sua sensualitá caravaggesca, la potenza di quel respiro che illumina il corpo estatico e straziato e lascia il resto nell’ombra. Bondage è anche un documento storico, una testimonianza dei giorni selvaggi della Muestra Marrana, uno dei primi festival europei dedicati alla postpornografia che fino all’anno scorso si svolgeva a Barcelona e quest’anno ha preso il largo verso il Messico – una nuova e speriamo piú accogliente meta.

 

Mani di velluto di Regina Orioli

untitled di Regina Orioli

untitled di Regina Orioli

Regina non puó star ferma con le mani. Alle riunioni delle Ragazze del porno a cui ho partecipato l’ho vista fare di tutto con quelle mani (cucire, fare la maglia, disegnare, scrivere con ogni mezzo a disposizione, temperare in maniera compulsiva matite…).

È un’attrice famosa e quasi tutti la ricordano nel personaggio della stronza di Ovosodo, blockbuster anni ’90, e ció la rende a molti pregiudizialmente antipatica. Invece Regina è un genio, un folletto sorridente imprigionato in un corpo da star: la sua eleganza assoluta in realtá rispecchia la bellezza del suo animo e nei suoi occhi enormi viaggiano spesso dei punti interrogativi che rendono la sua grazia irresistibile.

Regina da qualche tempo percorre con le mani qualsiasi superficie, documentando i suoi viaggi in questo blog. Le sue mani esplorano, indagano, si avventurano per il mondo; le sue mani non hanno paura – e saranno le protagoniste di uno dei cortometraggi targati Ragazze del porno. Non per un puro artificio formale, non per una scelta allegorica, metonimica e cerebrale ma perché attraverso quelle mani, con un’intensitá creativa impetuosa (che pur conoscendo molti artisti ho poche volte incontrato altrove), Regina vive.

Politiche di rischio (di Lucia Egaña)

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(quando ho letto il post Politicas de riesgo di Lucia ho capito che, rispetto alla querelle Macba, era il pezzo di discorso che mi mancava. grazie a lei per averlo esplicitato e grazie a Claudia Torresani per avermi motivato e aiutato a tradurlo)

l’8 marzo 1857 a new york*, un padrone decise di imprigionare le lavoratrici della sua fabbrica e di bruciarle vive perché avevano manifestato contro le pessime condizioni in cui erano costrette a lavorare.
in Cile, nel marzo del 2015, un padrone tiene imprigionate di notte, in un container, delle donne che lavorano per lui, non si sa né perché né a quale scopo (“Sono politiche aziendali”, dice un altro lavoratore che in quanto portatore di pene non è stato imprigionato, nonostante lavori presso la stessa azienda). nel corso di una calamità naturale, una di quelle che in Cile accadono spesso, i container si riempiono d’acqua, le donne imprigionate non possono liberarsi e muoiono come quelle del 1857, non bruciate vive ma affogate.

a volte compiere azioni con una valenza politica non comporta alcun rischio o solo qualcuno, ma comunque non serio. queste azioni possono essere fatte in un museo, in un video messo su Youtube, su un flyer, sul mio blog… quello che però è realmente rischioso è stare addirittura ai margini di ciò che è politico. è così che ti possono far dormire in un container chiuso a chiave, imprigionarti perché sei straniero o metterti in una camera a gas con motivazioni per le quali nessuno chiede la benché minima spiegazione. il capitalismo come centro di sterminio, il lavoro salariato come cancellazione politica.
questa notte sono stata a una manifestazione contro le prigioni alla Modelo, carcere di Barcellona. per accedere alla zona della prigione e al punto di incontro della manifestazione un dispiegamento di forze di polizia assolutamente sproporzionato controllava ogni persona che voleva avvicinarsi. ho dovuto aprire il mio zaino a tre mossos, svuotarlo completamente (terrorizzata dalla questione marihuana) e arrivare alla manifestazione già abbastanza intimorita. c’erano più o meno 4 poliziotti per manifestante e una camionetta ogni 3. mentre camminavamo, a un lato del corteo una fila spessa e compatta di poliziotti a viso coperto circondava il gruppo di manifestanti. a un certo punto mi rendo conto che sono cosí ingenua da esserci andata da sola, che due giorni fa hanno approvato la legge Mordaza e che l’illegalitá è un pericolo imminente.
penso, allora, ai rischi di ciò che è politico, ai rischi delle sue azioni e manifestazioni.
praticamente, nello stesso momento in cui il tribunale supremo annulla l’assoluzione di 8 persone incriminate per essere andate a manifestare in parlamento qualche anno fa (condannandoli a 3 anni), nel museo di arte contemporanea di Barcellona censurano un’opera di una mostra, vengono licenziati i curatori e si dimette il direttore . in questi giorni facebook si riempie di post e commenti di disapprovazione che esigono giustizia. però la maggior parte si focalizza sull’indignazione causata da ciò che è successo al museo. è vero, ho a che fare con troppi artisti… è vero, la censura è nefasta… però non posso evitare di sorprendermi davanti a tanta indignazione per una censura museale, mettendola al confronto con queste altre censure che riguardano l’integrità della vita. moltx amicx sostengono che il simbolico e l’epistemologico sono un campo di battaglia equiparabile a quello materiale. la nostra eredità marxista ha già dato prova che queste gerarchie tra il materiale e il simbolico aiutano molte volte il patriarcato e rendono invisibili violenze strutturali che esistono e agiscono anche come omicidi a partire dal simbolico, ma io vado avanti con questa eredità della sinistra, che fa parte di me in modo molto forte, e molte volte mi costa un sacco mettere queste cose allo stesso livello (aiuto!).
resisto alla tentazione di un’olimpiade che determini quale azione politica sia più valida di un’altra, non lo voglio fare né pensare che alcune azioni siano quelle che non riescono ad “arrivare” a prendere forma come “realmente” politiche. tutti i fronti sono validi, tutti sono importanti. però mi risulta inevitabile sentirmi banale, a volte, rispetto ad alcune prese di posizione che io stessa adotto.
le donne rinchiuse di notte nel nord del Cile in un container venivano imprigionate per il semplice fatto di essere donne, o al di lá dell’esser donne, perché avevano una vagina. un binarismo esplicito, letterale, eteropatriarcale e superfluo per le visioni costruttiviste del genere che considerano la donna come un soggetto politico effimero che fa acqua da tutte le parti e che non risulta sufficiente per sostanziare il femminismo. questo vituperato soggetto politico, la donna bianca, etero, di classe media, si sovrappone a un soggetto invisibile: le donne povere del nord del Cile.
le prigioni e i container sono pieni di persone che non sono lette come soggetti dal capitalismo né dai musei, né come soggetti politici né come soggetti, semplicemente. non mi interessa assegnare valore a ciò che è politicamente valido, mi rifiuto di essere io a provocare questa discussione che non porta da nessuna parte, l’ ho già detto. senza dubbio, come persona che ha il privilegio di fare politica in spazi safe e molto tranquilli e con la libertà di autodefinirmi come soggetto attivo, vorrei poter essere maggiormente autocritica nelle rivendicazioni e poter dire a tutte quelle che stanno da questa parte (in Europa ndt) che sento che i rischi sono pochi e che il nostro rischio minimo ci porta a cancellare persone e vite. è una sensazione, nulla di più. mi piacerebbe discuterlo e pensare forme in cui vivere politicamente sia una questione di accesso universale (e non il biglietto per un museo).

*rispetto alla data dell’incendio della fabbrica ci sono versioni diverse: sembra che quella del 1857 fu la prima manifestazione che derivó successivamente in uno sterminio collettivo

http://centros.edu.xunta.es/iesgamallofierros/webantiga/web_filo/8demarzo.htm

http://www.ilo.org/global/about-the-ilo/newsroom/features/WCMS_152727/lang–es/index.htm

chi ha fermato Rodrigo Rato?

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La notizia merita un piccolo approfondimento da parte della vostra inviata nella Penisola Iberica: ieri è stato arrestato Rodrigo de Rato y Figaredo, meglio conosciuto come Rodrigo Rato, uomo forte del Partido Popular per il quale ha ricoperto il ruolo di ministro in vari governi.

Rato fu anche a capo del Fondo Monetario Internazionale, incarico che lasció con poca gloria nel 2007. Da allora, secondo una modalitá che in Spagna viene chiamata con amara ironia di Puertas giratorias (porte girevoli) Rato passó al privato, dirigendo una delle operazioni finanziarie piú spregiudicate (e fallimentari) degli ultimi anni: il lancio della holding Bankia, che trascinó sul lastrico migliaia di piccoli investitori. Il colmo è che per “salvare” questa impresa intervenne il governo spagnolo con un finanziamento miliardario (si parla infatti di porte girevoli per la facilitá con cui certi personaggi della politica passino dal pubbico al privato – beneficiando sempre quest’ultimo).

Ma il cuore della notizia, quello che forse non apparirá in nessun articolo della stampa italiana – ma per questo ci sono io ;) è che la caduta del Dio Rato è stata causata in buona misura da un’iniziativa popolare: una querela alla Audiencia Nacional, finanziata da un crowdfunding (una raccolta di fondi partecipativa), del gruppo 15mpaRato, che raccolse prove della truffa di Bankia (che fu lanciata in borsa quando i suoi bilanci erano giá fallimentari) e che attraverso il lavoro del suo team giuridico e di inchiesta riuscí a portare alla luce altri scandali legati alla corruzione della classe politica. E il tutto nella piena trasparenza, dei documenti e delle azioni.

Io sono per l’abolizione del carcere e quando venne lanciata la campagna (le cui parole chiave erano Rodrigo Rato in galera) per questa ragione un po’ rimasi ai margini. Non mi piacciono gli appelli “alla pancia del paese”, mi mettono a disagio.

Oggi devo ammettere che il lavoro di comunicazione e mobilitazione della cittadinanza è stato eccellente. E il suo sviluppo* dimostra che dalla pancia si puó arrivare alla testa.

E siccome ho paura che [almeno nella mia lingua] non lo dica nessuno (perché se si estendesse questa pratica per le elite che ci governano sarebbe pericolosissima) lo voglio dire almeno io: grazie 15mpaRato. Per le capacitá strategiche, per la lungimiranza e il coraggio.

*il gruppo si è dichiarato disponibile ad un confronto con Rato, per uscire dalla dinamica del capro espiatorio e arrivare ad identificare complicitá piú o meno occulte: la finalitá non è metterne uno in galera ma cacciarli via tutti dal potere.

due cose, per concludere: la prima è che non sono giornalista e non mi occupo di finanza, quindi è possibile che questo articoletto contenga delle imprecisioni. invito qualche giornalista con cognizione di causa (e stipendio magari) ad occuparsene e ad approfondire.

la seconda è un divertissement: nel video che segue potete apprezzare l’accoglienza a Rato – nel Parlamento Catalano – di un politico che ammiro profondamente. c’entra poco o niente con 15mpaRato, peró 1) fa ridere col cuore 2) il partito a cui appartiene Fernandez, la CUP, è uno di quelli che hanno preso forza a partire dal movimento del 15m (quello che in Italia viene ancora chiamato degli Indignados, credo), brodo primordiale di tante iniziative popolari come, appunto 15mpaRato.

Fica Potens – o la prostata femminile come bene comune

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Domani 22 aprile esce in Italia Fica Potens, il nuovo libro di Diana J. Torres, conosciuta come la Pornoterrorista.
Un manuale nato dall’esperienza di indagine e sperimentazione sul corpo che Diana porta avanti da anni, un testo che è il frutto di un percorso biopolitico in cui l’esperienza diretta, condivisa con moltissime donne in laboratori e conferenze, si è nutrita di un’appassionata ricerca a livello bibliografico (non limitata ai testi scientifici dell’Occidente).

Diana ha un grandissimo talento nel raccontare, questo lo sa chiunque l’abbia letta.
Puó sorprendere invece (chi non conosce la sua caparbietá di Capricorno) il suo rigore e la sua capacitá di analisi e sintesi su un argomento che per chi lo tratta con superficialitá risulta ancora controverso, ovvero l’esistenza della prostata femminile (denominata dalla scienza medica colonialista ghiandola di Skene), che è l’oggetto di studio di questo libro imprescindibile.

Nella prefazione leggiamo:

Il nostro corpo, questo territorio che abitiamo a volte senza saperne nulla
o quasi nulla, è totalmente permeato da […] menzogne. Comandiamo
le nostre carni da un cervello i cui meandri ci sono assolutamente
estranei; il nostro hardware riceve ordini da un software esclusivo che
mai o quasi mai ci mostra apertamente le proprie operazioni. Ciò che
propongo in questo testo è una riprogrammazione, un hackeraggio, una
vendetta. Un differente modo di analizzarci che ci possa condurre alla
comprensione del nostro corpo come l’unica casa che abiteremo per tutta
la nostra esistenza, questo luogo dal quale possono solo cacciarci o sfrattarci, assassinandoci o lasciandoci morire. Questo potrebbe aiutarci molto a comprendere in modo sano ed efficace il tema di questo
manuale. Immaginiamoci questa casa che il sistema patriarcale si è
incaricato di trasformare in un carcere. Immaginiamo di abitare in una
casa nella quale non sappiamo né dove sia l’uscita secondaria né dove si
ripongano i cucchiaini. Assurdo vero? È così che la maggioranza di noi
vive il proprio corpo: senza sapere dove mettiamo le cose né a cosa
servono. Questo testo mira fondamentalmente a cambiare questa
percezione.

Quella di Diana è un’ambizione che supera il femminismo degli slogan, che ci invita a ripensare il corpo in maniera politica, a riappropriarcene.
Non fa leva su nessuna ansia da prestazione, non propone l’eiaculazione femminile come medaglietta da appuntarsi sul petto ma ne promuove una sua conoscenza critica e ne spiega il senso di piacere politico senza farla diventare un elemento gerarchizzante tra chi la pratica e chi no.

In questo mondo che ci espropria quotidianamente, imponendoci fin dall’infanzia delle prioritá fittizie che ci tolgono autonomia di giudizio e di azione, il suo grido – cosí ben articolato e perfettamente comprensibile – è uno strumento prezioso per tutti e tutte.

illustrazione di Kiara Schiavon

illustrazione di Kiara Schiavon

Diana presenterá il suo libro nei prossimi giorni, all’interno dello Tsunami Tour, che arriverá in alcune delle principali cittá italiane. Io vi invito a non perderla, perché sará possibile acquistare il libro solo durante le presentazioni o attraverso la web dell’impavida Golena (piccola casa editrice che ha giá pubblicato il suo primo libro, Pornoterrorismo). E poi perché ascoltarla è sempre un grande piacere, non solo politico.

(ad illustrare Fica Potens sono i contributi grafici di Kiara Schiavon, che potete trovare qui, completi di spiegazioni e riferimenti)

La lega del filo rosa [May Day 2004]

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filorosa_web

Articolo xy
L’Italia e’ una Repubblica fondata sulle relazioni.

Non e’ piu’ il lavoro il collante sociale che garantisce una sopravvivenza
dignitosa, siamo piuttosto imbrigliati tra *famiglie*, amicizie, affinita’
e altre forme di legame piu’ o meno convenzionali che sono l’ultima (e
unica) rete di sicurezza che ci e’ concessa.

Alla Mayday di Milano, partendo dal Blocco Rosa, invaderemo la parata
cercando di rendere visibile e tangibile questa rete attraverso azioni
performative includenti e interattive.
Molteplici fili rosa costruiranno improbabili architetture, lanceranno
ponti, intrecceranno collegamenti.
Fili fragili e precari come le nostre esistenze, pronti a spezzarsi e a
riallacciarsi liberamente a rappresentare i legami come li vogliamo,
basati sul consenso e sul gioco (intrecci a maglia larga, non nodi, dai
quail ci si possa sfilare senza la necessita’ di spezzarli).

Se abbiamo perso il filo del discorso, riannodiamo i fili della
comunicazione. Badando bene che siano fili rosa ;)

Empowerpink: si insinua nell’etere come un profumo, cattura il nervo
ottico come un fascio di luce nella penombra.
Porta il tuo filo rosa e intrecciati: la rete si muove e si espande.

Facciamoci il filo come innamorat* discretamente invadent*.

… e sopra di noi, a vegliare sul grande spettacolo rosa, Spider Mom: la
mamma ragna, che a volte ritorna per insegnarci un nuovo stile di
tessitura: una la disfa, un’altra continua!

(comunicato del Pink Bloc risalente al 2004, che annunciava una performance abbastanza delirante che feci all’interno della May Day Parade, tra le altre cose.
sembra ieri, ma sono passati piú di 10 anni. e l’analisi e l’invito mi sembrano piú che mai attuali.

alcuni di quei fili si sono aggrovigliati, altri sono diventati delle corde robuste che mi tengono su quando mi domando che senso abbia il mio impegno e se ancora valga qualcosa.
oggi che è primavera e che ho sconfitto l’inverno del mio proprio scontento mi dico che sí che ne è valsa la pena, che il rosa ci ha liberato, ci ha aiutato a creare degli spazi di autonomia e ha dato voce a molti soggetti che nel contesto della militanza tradizionale non trovavano spazio.
non saró per le strade di Milano a contestare l’infamia di Expo, ma di sicuro ci sará una parte di me: quella che ho seminato e coltivato in questi anni insieme a tanti e tante altre.
e scusate l’ardire e il personalismo, ma ne vado abbastanza fiera.

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che siate rosa, rosse, nere o verdi la zia vi penza e v’accompanza, adelante)

Etica, arte, business: politiche della nuova pornografia

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presentazione per Genderotica (Esc, sabato 23 maggio, ore 14.30)

Dalla radicalitá del postporno alle microimprese pay per view fino ad arrivare agli esperimenti tecnologici del cybersesso, il panorama pornografico contemporaneo si presenta ricco, eterogeneo e a volte contraddittorio. Il tratto unificante di esperienze cosí diverse è il fatto di essere entrate (in maniera piú o meno virale) nell’ambito della produzione culturale di serie A, influenzando il mainstream e direzionandone i gusti. Per un Rocco Siffredi pentito e arreso alla morale nazionalpopolare ci sono centinaia di pornostar della porta accanto che hanno fatto delle politiche di produzione del piacere il loro campo di battaglia e il loro mezzo di sostentamento.
Slavina racconta le loro storie ed esamina criticamente le loro proposte, presentandoci l’avanguardia del lavoro sessuale e del desiderio contemporaneo.

Ethics, Art and Business: Policies of the New Pornography.
From the radical approach of Post-Porn through the pay per view small companies to the technological experimentations of cyber-sex, the contemporary pornography landscape presents itself as rich, heterogeneous and at times contradictory. A piece of common ground such distinct experiences share is the (more or less) viral venture that lifted them to the sphere of first class cultural production by influencing mainstream attitude and taste.
For every repented and surrendered to national-popular morals Rocco Siffredi, there are hundreds of next-door pornstars that have turned pleasure-production policies into their political battleground and source of income.
Slavina tells their stories and critically examines their propositions presenting us the avant-garde of sex working and present-day desire.


10 anni

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sono passati 10 anni.
10 anni da quando sono atterrata all’aereoporto di Girona, piena di paura e di speranza.

il biglietto mi era costato 20 euro, solo andata.
avevo detto a mia madre Forse torno, forse no.
in cuor mio sapevo solo che me ne volevo andare. che me ne dovevo andare.

e se ci penso mi viene la pelle d’oca e pure un po’ da piangere, non solo per il mio autoriferito romantico ricordo ma pensando a chi per cercare un futuro migliore paga molto piú di quanto abbia pagato io – e trova un presente di merda, di rifiuto e razzismo.

sono stata fortunata. si dice che la fortuna aiuti gli audaci ed è vero che un po’ di coraggio ce l’ho messo…
ma questo post è per ringraziare tutte le persone che ho incontrato per il cammino e che mi hanno aiutata, sostenuta, incoraggiata, amata.
non è stato sempre facile, ma se è stato possibile lo devo a voi – che anche se vi ho un po’ perso nel cammino ci siete sempre e abitate il mio cuore grato.

han pasado ya 10 años.
10 años desde el dia en que llegué al aeropuerto de Girona, llena de miedo y de esperanza.

un billete de avión por 20 euros, solo ida.
habia dicho a mi madre: Quizás vuelva, quizás no.
en mi corazón sabia solo que me queria ir, que me tenia que ir.

y si lo pienso tengo piel de gallina y me dá por llorar, no solamente por mi recuerdo romantico personal sino porqué pienso a quien migra en busca de un futuro y paga mucho mas de lo que yo pagué – y encuentra un presente de mierda, de rechazo y racismo.

he tenido suerte. fortuna audax iuvat y es verdad que un poco de valor lo he tenido…
pero este post es para agradecer todas las personas que he econtrado por el camino y que me han ayudado, suportado (y soportado), animado en los momentos tristes, querido.
no ha sido siempre facíl, pero si ha sido posible se lo debo a vosotras – que igual os he perdido un poco el rastro, porqué la vida da muchas vueltas – pero siempre teneis un sitio especial en mi corazon agradecido.

Genova per noi

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Quest’inverno ho partecipato al progetto Tifiamo Scaramouche scrivendo un racconto sul G8 di Genova e sull’estate in cui entrammo nell’era del terrore globale.
Ho rimesso le mani in una memoria ancora dolorosa (lo abbiamo capito subito che le ferite di Genova non si sarebbero mai rimarginate) con il proposito ambizioso di raccontare la Storia attraverso alcune microstorie che la attraversarono.

È un piccolo, affettuoso e provocatorio omaggio a Candida TV (collettivo di cui ho fatto parte per alcuni, decisivi anni) e a chi la componeva.

Genova per noi è come sempre di una storia vera piena di bugie e i 4 personaggi che hanno voce nel racconto ne rappresentano molti di più.
Qua sotto ne potete leggere un estratto, per leggerlo per intero (e un sacco di altra roba interessante) scaricatevi le raccolte di Tifiamo Scaramouche.

Selma

A Genova i giorni prima del vertice sono pieni di un’allegria tesa. Montiamo il Media Center alla Pascoli, una scuola. Dall’altra parte della strada c’è la Diaz, che sarebbe diventata tristemente famosa ma noi ancora non lo sappiamo. Ci muoviamo in un’atmosfera irreale, in cui la paranoia si mischia all’entusiasmo. La città è blindata, la zona rossa (quella in cui si svolge il vertice) è protetta da inferriate alte più di due metri e quando le guardi non puoi evitare di pensare a quanto gli facciamo paura.
Asso aveva ragione, stare insieme è un’esperienza esaltante, è sentirsi parte di una cospirazione mondiale perché respiriamo insieme, mangiamo insieme, fumiamo insieme, dormiamo insieme, andiamo insieme pure al bagno. Ci si conosce e ogni giorno ci si innamora un po’. É di questo che hanno paura?
Le assemblee sono un po’ un casino perché poche persone parlano inglese e c’è sempre da tradurre e io penso a Custer e mi dispiace che non ci sia. Credo dispiaccia un bel po’ anche a lei, che col gruppo si fa sentire di meno ma con me si lamenta in privato e mi chiede che fa Asso. Io glisso, anche perché ho perso il conto di quelle che gli stanno intorno. E non le racconto nemmeno che certe volte mi parla di lei con gli occhi lucidi, mi limito a dirle che ci manca ma non insisto troppo, che lo so che ci sta male.
Poi, dopo un preambolo che è sembrato un secolo breve arriva il giovedì, il primo giorno di manifestazione. La piazza è dei migranti ed è piena di colori e musica e sembra tutto bellissimo e tranquillo. La polizia mantiene le distanze e ci illudiamo che le minacce dei mesi scorsi rimarranno lettera morta. La sera festeggiamo pure e io mi porto nel sacco a pelo un tipo di Milano che invece non si fida per niente e che nemmeno mentre scopiamo smette di dire che c’è poco da stare allegri, che domani sarà un casino.
Il venerdì infatti è un giorno delirante. Già da prima di mezzogiorno cominciano gli scontri. Noi siamo col blocco rosa, il nostro supereroe mascherato riesce quasi a scavalcare le recinzioni, c’è un’aria ancora festosa anche se via telefono ogni tanto arrivano notizie allarmanti. Il sole cuoce e ogni volta che ci fermiamo un attimo per bagnarci un po’ la testa e facciamo due telefonate per sapere come va nelle altre piazze la preoccupazione brucia ancora di più, dentro.
Io mi nascondo dietro la telecamera, come faccio sempre, ma a un certo punto mi devo fermare perché non so se sia la stanchezza o che altro ma la mia mano trema. Asso è di nuovo al telefono, la maschera arancione alzata e la faccia scura. «Preparati che ci muoviamo verso piazza Alimonda. Non ho capito bene ma dev’essere successo un casino serio».
Camminiamo quasi di corsa, ho come l’impressione che Asso sappia di più di quello che dice, deglutisce a fatica e se non lo conoscessi bene direi che piange o meglio, gli sfuggono delle lacrime dagli occhi. Io sono stanchissima e arranco e così a un certo punto mi prende la mano e mi trascina. Cammina troppo veloce tanto che dopo un po’ gli dico che mi sta facendo male e che dove cazzo corre come un pazzo e allora lui si gira e mi guarda con gli occhi rossi spalancati e mi dice in un soffio che c’è scappato il morto, che non si sa chi è ma se stava coi Disobbedienti sicuro che lo conosciamo. E allora Asso, la nostra carta vincente, il nostro supereoe, quello che se ha paura è capace di non darlo a vedere, va in pezzi. Io sono paralizzata dal terrore e dal dolore mentre lui mi abbraccia singhiozzando. Dura forse due minuti, ci teniamo stretti come se intorno ci fosse un terremoto e poi all’improvviso ritorniamo dritti, con un’elettricità nelle gambe che ci fa arrivare a destinazione in un lampo.

Tisi

Eccola che arriva. Sempre con quella cazzo di telecamera in mano e ovviamente accompagnata da quel buffone napoletano, che è fidanzato con Custer ma gli sta sempre appiccicato al culo. Un giorno glielo vorrei proprio chiedere, se scopano pure in tre.
Io con Selma non ci ho scopato, però ci siamo baciati e toccati e ci è mancato proprio pochissimo… però sembra che lei non si ricordi. Effettivamente stavamo belli stonati, ma com’è che io mi ricordo benissimo e ci sono pure rimasto sotto e lei invece mi saluta sempre solo da lontano? Politicamente non ci capiamo proprio, lei fa tutta la rivoluzionaria però usa gli strumenti del padrone. «È che io lavoro col video, con Linux è impossibile». Impossibile un cazzo. Impossibile è che uno rimanga morto ammazzato in una manifestazione e invece oggi è successo, e io ero lì di fianco. La camionetta dei carabinieri non ripartiva e gli stava arrivando addosso di tutto e due serciate gliele avrei date volentieri anch’io, solo che stavo sudando sotto quella cazzo di maschera, così mi sono fermato un attimo ad asciugarmi e siccome non ci vedevo mi sono messo di lato e mentre non guardavo ho sentito lo sparo. Che l’ho capito dopo che era uno sparo, quando ho visto quel tipo nella pozza di sangue. Chi cazzo l’aveva mai sentito uno sparo? Beh, comunque non mi era sembrato un botto di Capodanno.
Così adesso l’ho buttata, quella maschera che m’ha salvato la vita. Non me la potevo mica tenere, che magari qualche stronzo con la telecamera m’ha ripreso – e ce ne stavano diecimila, oltre alle guardie. M’occupava una cifra di spazio nello zaino ed era scomodissima da portare, ma un po’ ci tenevo.
L’avevo trovata a Porta Portese, la mattina dopo un rave. Ci ero arrivato proprio con Custer, per una volta in libera uscita senza Asso. Stavamo tutti morbidi e sospironi, in piena discesa, e tra i colori del mercato era spuntata quella macchia nera.
«Aó, anvedi Pulcinella, è il tuo fidanzato che ci perseguita» le avevo detto. Lei aveva rosicato – «Oh mica è colpa mia se è geloso e napoletano» – e quindi attaccato la pippa da professoressa: «Guarda che questo non è Pulcinella, è Scaramuccia. Mentre Pulcinella ha sempre fame, Scaramuccia ha sempre voglia di litigare. Come te».
Custer m’azzitta sempre e mica solo perché ha fatto il dams. Perché è più grande e ci conosciamo da una vita e lei è sempre un passo avanti. E infatti non ci si è messa, in questa carneficina.
E invece noi sì e siamo qua ad aspettare, hanno chiuso piazza Alimonda e non fanno entrare nessuno e io non lo so mica cos’é che aspetto, dovrei squagliarmela ma non ce la faccio, e adesso è arrivata pure lei…

[continua…]

Supervideo >>> G8 (il video di Candida a Genova) lo trovate qui.

la fine di un amore – paesaggio sonoro

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lo sferragliare feroce del tram
il cicaleccio fastidioso di uno scontrino
quel singhiozzo che smetti di trattenere
il fischio della caffettiera che ti sveglia
il clangore di un cancello che si chiude
il fruscio di una lampo che sale
il silenzio improvviso delle cicale
il ticchettio accelerato dell’inizio del temporale
l’urlo di una sirena nel cuore della notte
il “Favorisca i documenti”
l’eco del tuono che rimbalza nel tuo petto vuoto
il rombo sordo della valanga
la voce gracchiante del capotreno che annuncia la fine della corsa
il trapano del dentista
lo scivolare silenzioso di una lacrima
il grido del cristallo che s’infrange
la tua voce che s’incrina quando dici “Va tutto bene”
l’ululato del vento che ti graffia le orecchie
le unghie sulla lavagna
la scivolata fuoritempo del dj troppo fatto
un telefono che squilla disperato
la neve che scricchiola sotto i piedi
l’ultimo crepitare di un fuoco che muore

il rumore dei tuoi passi che si allontanano

la fine di un amore – supporti testuali

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0.9
non so se è di qualche sollievo – oppure il contrario
peró la stupiditá a volte è più forte dell’amore…


(foto di Claudia Pajewski)

Ti cercherò sempre
sperando di non trovarti mai
mi hai detto all’ultimo congedo

Non ti cercherò mai
sperando sempre di trovarti
ti ho risposto

Al momento l’arguzia speculare
fu sublime
ma ogni giorno che passa
si rinsalda in me
un unico commento
e il commento dice
due imbecilli

(da Cento poesie d’amore a LadyHawke di Michele MariLadyHawke)

0.8

Ancora su di te – Nazim Hikmet

Sei la mia schiavitù e la mia libertà
sei la mia carne che brucia
come carne nuda nelle notti d’estate

Sei la mia patria
tu, coi riflessi verdi dei tuoi occhi castani
tu, bella e trionfante.

Sei la mia nostalgia
di saperti inaccessibile
nel momento stesso in cui ti afferro.

0.7

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale – Eugenio Montale

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.

0.6
c’è chi è capace di salvarsi
di risparmiarsi, di tenere la giusta distanza, di rispettare le procedure di sicurezza e i limiti di velocità.
io no.

NON TI SALVARE – di Mario Benedetti

Non restare immobile
sul bordo della strada
non congelare la gioia
non amare con noia
non ti salvare adesso
né mai
non ti salvare
non riempirti di calma

non appartare del mondo
solo un angolo tranquillo
non lasciar cadere le palpebre
pesanti come giudizi

non restare senza labbra
non t’addormentare senza sonno
non pensarti senza sangue
non ti giudicare senza tempo

però se
malgrado tutto
non puoi evitarlo
e congeli la gioia
e ami con noia

e ti salvi adesso
e ti riempi di calma
e apparti del mondo
solo un angolo tranquillo
e lasci cadere le palpebre
pesanti come giudizi
e ti asciughi senza labbra
e ti addormenti senza sonno
e ti pensi senza sangue
e ti giudichi senza tempo
e resti immobile
al bordo della strada
e ti salvi
allora
non restare con me.

(la versione originale qui)

0.5
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l’amore che da teppista quindicenne si trasforma in crudele ricettatore (più altre immagini di un candore quasi irritante…)

Cuor di rubino – Jacques Prévert

Io so dire T’amo
ma amare non so
Del tuo cuor di rubino
che cosa ne ho fatto?

All’amore ho giocato
senza saper giocare
Del tuo cuor di rubino
che cosa ne ho fatto?

Il vetro è spaccato
il negozio tappato
il raso strappato
lo scrigno calpestato

Io volevo averti
volevo possederti
Giocavo all’amore
ma ho solo barato

Del tuo cuor di rubino
che cosa ne ho fatto
Adesso è troppo tardi
è tutto scheggiato

Quel cuor di rubino
A chi regalarlo
Nessuno lo accetta
L’amore rubato

(in lingua originale qui)

0.4
certe volte è la morte a pronunciare la parola FINE.
e per quanto mi riguarda è il dolore d’amore più intenso che mi è mai capitato di provare.

Blues in memoria – W.H.Auden

Fermate tutti gli orologi, isolate il telefono,
fate tacere il cane con un osso succulento,
chiudete i pianoforti, e tra un rullio smorzato
portate fuori il feretro, si accostino i dolenti.

Incrocino aeroplani lamentosi lassù
e scrivano sul cielo il messaggio Lui E’ Morto,
allacciate nastri di crespo al collo bianco dei piccioni,
i vigili si mettano guanti di tela nera.

Lui era il mio Nord, il mio Sud, il mio Est ed Ovest,
la mia settimana di lavoro e il mio riposo
la domenica, il mio mezzodì, la mezzanotte, la mia lingua, il mio canto;
pensavo che l’amore fosse eterno: e avevo torto.

Non servon più le stelle: spegnetele anche tutte;
imballate la luna, smontate pure il sole;
svuotatemi l’oceano e sradicate il bosco;
perché ormai più nulla può giovare.

(versione originale qui)

0.3

Posso scrivere i versi più tristi questa notte – di Pablo Neruda

Posso scrivere i versi più tristi questa notte.

Scrivere, ad esempio : La notte è stellata,
e tremolano, azzurri, gli astri in lontananza.

Il vento della notte gira nel cielo e canta.

Posso scrivere i versi più tristi questa notte.
Io l’amai, e a volte anche lei mi amò .

Nelle notti come questa la tenni tra le mie braccia.
La baciai tante volte sotto il cielo infinito.

Lei mi amò, a volte anch’io l’amavo.
Come non amare i suoi grandi occhi fissi.

Posso scrivere i versi più tristi questa notte.
Pensare che non l’ho. Sentire che l’ho perduta.

Udire la notte immensa, più immensa senza lei.
E il verso cade sull’anima come sull’erba in rugiada.

Che importa che il mio amore non potesse conservarla.
La notte è stellata e lei non è con me.

E’ tutto. In lontananza qualcuno canta. In lontananza.
La mia anima non si rassegna ad averla perduta.

Come per avvicinarla il mio sguardo la cerca.
Il mio cuore la cerca, e lei non è con me.

La stessa notte che fa biancheggiare gli stessi alberi.
Noi quelli di allora, più non siamo gli stessi.

Più non l’amo, è certo, ma quanto l’amai.
La mia voce cercava il vento per toccare il suo udito.

D’altro. Sarà d’altro. Come prima dei suoi baci.
La sua voce, il suo corpo chiaro. I suoi occhi infiniti.

Più non l’amo, è certo, ma forse l’amo .
E’ così breve l’amore, ed è sì lungo l’oblio.

Perché in notti come questa la tenni tra le mie braccia,
la mia anima non si rassegna ad averla perduta.

Benché questo sia l’ultimo dolore che lei mi causa
e questi siano gli ultimi versi che io le scrivo.

(la versione in lingua originale qui)

0.2
(la fine dell’amore “illegittimo” tra Majakovski e Lil Brik mi spezzó il cuore adolescente. e gli ultimi versi mi risuonano dentro ad ogni addio)

Lil Brik

Lilicka!
In luogo di una lettera – Vladimir Majakovski

Un fumo di tabacco ha divorato l’aria
la stanza
è un capitolo dell’inferno di Krucennych.
Ricordati –
proprio a questa finestra
per la prima volta
estasiato accarezzavo le tue mani.
Eccoti oggi seduta,
il cuore chiuso dentro una corazza.
Ancora un giorno e poi
mi scaccerai
magari anche imprecando alle mie spalle.
Nella buia anticamera la mano nella manica
più non stenterà a entrare disfatta dal tremore
correrò via
e getterò il mio corpo sulla strada.
Selvatico animale
impazzirò
sotto una sferza di disperazione
ma così non si deve,
mia cara,
mia diletta,
meglio lasciarci ora.
Non importa –
il mio amore
è un pesante macigno
che incombe su di te
ovunque tu possa fuggirmi.
Lascia in un grido estremo che si sfoghi
l’amarezza dei lamenti e del rancore.
Quando anche un bue è disfatto di fatica
lui pure andrà a gettarsi
in fredde acque in cerca di ristoro.
Ma altro mare non c’è
per me
tranne il tuo amore,
nè tregua c’è in amore anche nel pianto.
Se un elefante stanco vorrà pace
si stenderà maestoso sull’infocata sabbia.
Ma altro non c’è
per me
tranne il tuo amore,
benchè io non so tu dove o con chi sei.
Se così se ne fosse tormentato
dell’amore – un poeta
in soldi e gloria l’avrebbe mutato,
ma altro suono non c’è
che mi dia gioia
tranne che il suono del tuo nome beato.
E non mi getterò giù nella tromba delle scale
e non berrò il veleno
nè premerò il grilletto dell’arma sulla tempia.
E non c’è lama di coltello che
abbia su me potere
tranne che sia la lama del tuo sguardo.
Tu scorderai domani
che io t’incoronavo,
che d’un ardente amore l’anima ti bruciavo,
e un carnevale effimero di frenetici giorni
disperderà le pagine dei miei piccoli libri…
le secche foglie delle mie parole
potranno mai indurre uno a sostare,
a respirare con avidità?

Almeno lascia che un’estrema tenerezza
copra l’allontanarsi
dei tuoi passi.

26 maggio 1916 Pietrogrado

0.1
(a Liana, che mentre la leggeva mi guardava coi suoi bellissimi occhi azzurri in cui non ebbi il coraggio di tuffarmi mai)

29 novembre 1920
Ophelinha,
la ringrazio per la lettera. Essa mi ha portato dolore e sollievo allo stesso tempo. Dolore perché queste cose addolorano sempre; sollievo perché, in verità, l’unica soluzione è questa: non prolungare oltre una situazione che ormai non trova più una giustificazione nell’amore, né da una parte né dall’altra. Da parte mia, almeno, resta una stima profonda, un’amicizia inalterabile.
Lei non mi negherà altrettanto, vero?
Né lei, Ophelinha, né io, abbiamo colpa di tutto questo. Solo il Destino ne avrebbe la colpa, se il Destino fosse una persona a cui poter attribuire delle colpe.
Il Tempo, che invecchia i volti e i capelli, invecchia anche, ma ancor più rapidamente, gli affetti violenti. La maggior parte della gente, per la sua stupidità, riesce a non accorgersene, e crede di continuare ad amare perché ha contratto l’abitudine di sentire se stessa che ama. Se non fosse così, non ci sarebbe al mondo gente felice. Le creature superiori, tuttavia, sono private della possibilità di codesta illusione, perché non possono credere che l’amore sia duraturo, né, quando sentono che esso è finito, si sbagliano interpretando come amore la stima, o la gratitudine, che esso ha lasciato.
Queste cose fanno soffrire, ma poi il dolore passa. Se la stessa vita, che è tutto, passa, perché non dovrebbero passare l’amore, il dolore e tutte le altre cose che sono solo parti della vita?
Nella sua lettera è ingiusta con me, ma la comprendo e la scuso. Certo l’ha scritta con irritazione, forse perfino con dolore; ma la maggior parte della gente – uomini e donne – avrebbe scritto, nel suo caso, in un tono ancor più acerbo e in termini ancora più ingiusti. Ma lei, Ophelinha, ha un meraviglioso carattere, e perfino la sua irritazione non riesce ad essere cattiva. Quando si sposerà, se non avrà la felicità che si merita, certamente non sarà colpa sua.
Quanto a me…
L’amore è passato. Ma le mantengo un affetto inalterabile, e non dimenticherò mai – mai, lo creda – né la sua figurina graziosa e i suoi modi di ragazzina, né la sua tenerezza, la sua dedizione, la sua adorabile indole, può essere che mi sbagli, e che queste qualità che le attribuisco fossero una mia illusione; ma non credo che lo fossero né, se lo sono state, sarei così villano da attribuirgliele.
Non so che cosa desidera che le restituisca: lettere o che altro ancora.
Io preferirei non restituirle niente, conservare le sue lettere come il ricordo vivo di un passato morto come ogni passato; come un qualcosa di commovente in una vita quale la mia, in cui l’avanzare negli anni va di pari passo con l’avanzare nell’infelicità e nella delusione.
Le chiedo di non fare come la gente comune, che è sempre grossolana: che non giri la testa quando ci incontreremo; né abbia di me un ricordo in cui ci sia spazio per il rancore.
La prego, siamo l’uno con l’altro come due persone che si conoscono dall’infanzia, che si amarono da bambini e, sebbene nella vita adulta seguano altre strade e altri affetti, conservano sempre, in una piega dell’animo, il ricordo profondo del loro amore antico e inutile.
Per quanto forse “altri affetti” e “altre strade” possano concernere lei, Ophelinha, non certo me stesso. Il mio destino appartiene ad altra Legge, della cui esistenza lei è all’oscuro, ed è subordinato sempre più all’obbedienza a Maestri che non permettono e non perdonano.
Ma non è necessario che capisca quanto dico. Basta che mi conservi affettuosamente nel suo ricordo come io, sempre, la conserverò nel mio.
Fernando


di Fernando Pessoa in Lettere alla fidanzata

la fine di un amore – supporti testuali (2)

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15
Il Futuro – Julio Cortázar

E so molto bene che non ci sarai.
Non ci sarai nella strada,
non nel mormorio che sgorga di notte
dai pali che la illuminano,
neppure nel gesto di scegliere il menù,
o nel sorriso che alleggerisce il “tutto completo” delle sotterranee,
nei libri prestati e nell’arrivederci a domani.

Nei miei sogni non ci sarai,
nel destino originale delle parole,
nè ci sarai in un numero di telefono
o nel colore di un paio di guanti, di una blusa.
Mi infurierò, amor mio, e non sarà per te,
e non per te comprerò dolci,
all’angolo della strada mi fermerò,
a quell’angolo a cui non svolterai,
e dirò le parole che si dicono
e mangerò le cose che si mangiano
e sognerò i sogni che si sognano
e so molto bene che non ci sarai,
nè qui dentro, il carcere dove ancora ti detengo,
nè la fuori, in quel fiume di strade e di ponti.
Non ci sarai per niente, non sarai neppure ricordo,
e quando ti penserò, penserò un pensiero
che oscuramente cerca di ricordarsi di te.

(l’originale qui)

14
la fine è ogni volta che me ne vado.
e devo andarmene sempre, anche quando vorrei restare.

immagine di Maia Marinelli dal laboratorio I porn Berlin

immagine di Maia Marinelli dal laboratorio I porn Berlin

Vedere il lato bello, accontentarsi del momento migliore, fidarsi di quest’abbraccio e non chiedere altro perché la sua vita è solo sua e per quanto tu voglia, per quanto ti faccia impazzire non gliela cambierai in tuo favore. Fidarsi del suo abbraccio, della sua pelle contro la tua, questo ti deve essere sufficiente, lo vedrai andare via tante altre volte e poi una volta sarà l’ultima, ma tu dici, stasera, adesso, non è già l’ultima volta? Vedere il lato bello, accontentarsi del momento migliore, fidarsi di quando ti cerca in mezzo alla folla, fidarsi del suo addio, avere più fiducia nel tuo amore che non gli cambierà la vita, ma che non dannerà la tua perché se tu lo ami, e se soffri e se vai fuori di testa questi sono problemi solo tuoi; fidarsi dei suoi baci, della sua pelle quando sta con la tua pelle, l’amore è niente di più, sei tu che confondi l’amore con la vita.
(Pier Vittorio Tondelli – Biglietti agli amici)

13

Bambina mia.
Per te avrei dato tutti i giardini
del mio regno, se fossi stata regina,
fino all’ultima rosa, fino all’ultima piuma.
Tutto il regno per te.

Ti lascio invece baracche e spine,
polveri pesanti su tutto lo scenario
battiti molto forti
palpebre cucite tutto intorno. Ira
nelle periferie della specie e al centro. Ira.

Ma tu non credere a chi dipinge l’umano
come una bestia zoppa e questo mondo
come una palla alla fine.
Non credere a chi tinge tutto di buio pesto
e di sangue. Lo fa perché è facile farlo.

Noi siamo solo confusi, credi.
Ma sentiamo. Sentiamo ancora.
Siamo ancora capaci di amare qualcosa.
Ancora proviamo pietà.
C’è splendore in ogni cosa. Io l’ho visto.
Io ora lo vedo di più.
C’è splendore. Non avere paura.

Ciao faccia bella,
gioia più grande.
Il tuo destino è l’amore.
Sempre. Nient’altro.
Nient’altro nient’altro.

(Mariangela Gualtieri da Paesaggio con fratello rotto)

12

scultura di May Von Krogh

La stazione – Wislawa Szymborska

Il mio arrivo nella città di N.
è avvenuto puntualmente.

Eri stato avvertito
con una lettera non spedita.

Hai fatto in tempo a non venire
all’ora prevista.

Il treno è arrivato sul terzo binario.
E’ scesa molta gente.

L’assenza della mia persona
si avviava verso l’uscita tra la folla.

Alcune donne mi hanno sostituito
frettolosamente
in quella fretta.

A una è corso incontro
qualcuno che non conoscevo,
ma lei lo ha riconosciuto
immediatamente.

Si sono scambiati
un bacio non nostro,
intanto si è perduta
una valigia non mia.

La stazione della città di N.
ha superato bene la prova
di esistenza oggettiva.

L’insieme restava al suo posto.
I particolari si muovevano
sui binari designati.

E’ avvenuto perfino
l’incontro fissato.

Fuori dalla portata
della nostra presenza.

Nel paradiso perduto
della probabilità.

Altrove.
Altrove.
Come risuonano queste piccole parole.

11
certi amori devi farli finire, perché altrimenti ti finiscono.

La rivale – Sylvia Plath

Se sorridesse, la luna somiglierebbe a te.
Tu fai lo stesso effetto:
Di un qualcosa di bello ma che annichilisce.
Tutti e due siete dei grandi scrocconi.
La sua bocca a O si accora sul mondo; la tua

Non fa una piega, tu pietrifichi ogni cosa.
Guardo, c’è un mausoleo; eccoti qui che picchietti
Il marmo del tavolino, cerchi le sigarette,
Sprezzante come una donna, ma non così nervoso,
e muori dalla voglia di dire impertinenze.

Anche la luna i suoi sudditi umilia,
Ma di giorno è ridicola.
I tuoi malumori, d’altra parte,
Arrivano per posta amorosamente regolari,
Bianchi e vani, espansivi come il gas.

Non c’è un giorno al riparo da notizie di te,
Magari a spasso in Africa, ma pensando a me.

(la versione originale qui)

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(di Laura Stevens, dalla serie Another November)

Senza di te tornavo – Pier Paolo Pasolini

Senza di te tornavo, come ebbro,
non più capace d’esser solo, a sera
quando le stanche nuvole dileguano
nel buio incerto.
Mille volte son stato così solo
dacché son vivo, e mille uguali sere
m’hanno oscurato agli occhi l’erba, i monti
le campagne, le nuvole.
Solo nel giorno, e poi dentro il silenzio
della fatale sera. Ed ora, ebbro,
torno senza di te, e al mio fianco
c’è solo l’ombra.
E mi sarai lontano mille volte,
e poi, per sempre. Io non so frenare
quest’angoscia che monta dentro al seno;
essere solo.

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