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Channel: slavina – malapecora
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la fine di un amore – e 3

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la rabbia e la tristezza della consapevolezza d’essere quella *di passaggio*

Al mio amante che torna da sua moglie – Anne Sexton

Lei è tutta là.
Per te con maestria fu fusa e fu colata,
per te forgiata fin dalla tua infanzia,
con le tue cento biglie predilette fu costrutta.

Lei è sempre stata là, mio caro.
Infatti è deliziosa.
Fuochi d’artificio in un febbraio uggioso
e concreta come pentola di ghisa.

Diciamocelo, sono stata di passaggio.
Un lusso. Una scialuppa rosso fuoco nella cala.
Mi svolazzano i capelli dal finestrino.
Son fumo, cozze fuori stagione.

Lei è molto di più. Lei ti è dovuta,
t’incrementa le crescite usuali e tropicali.
Questo non è un esperimento. Lei è tutta armonia.
S’occupa lei dei remi e degli scalmi del canotto,

ha messo fiorellini sul davanzale a colazione,
s’è seduta a tornire stoviglie a mezzogiorno,
ha esposto tre bambini al plenilunio,
tre puttini disegnati da Michelangelo,

l’ha fatto a gambe spalancate
nei mesi faticosi alla cappella.
Se dai un’occhiata, i bambini sono lassù
sospesi alla volta come delicati palloncini.

Lei li ha anche portati a nanna dopo cena,
e loro tutt’e tre a testa bassa,
piccati sulle gambette, lamentosi e riluttanti,
e la sua faccia avvampa neniando il loro
poco sonno.

Ti restituisco il cuore.
Ti do libero accesso:

al fusibile che in lei rabbiosamente pulsa,
alla cagna che in lei tramesta nella sozzura,
e alla sua ferita sepolta
– alla sepoltura viva della sua piccola ferita rossa –

al pallido bagliore tremolante sotto le costole,
al marinaio sbronzo in aspettativa nel polso
sinistro,
alle sue ginocchia materne, alle calze,
alla giarrettiera – per il richiamo –

lo strano richiamo
quando annaspi tra braccia e poppe
e dai uno strattone al suo nastro arancione
rispondendo al richiamo, lo strano richiamo.

Lei è così nuda, è unica.
È la somma di te e dei tuoi sogni.
Montala come un monumento, gradino per gradino.
lei è solida.

Quanto a me, io sono un acquerello.
Mi dissolvo.

(qui l’originale)

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Mi nasconda la notte – Sandro Penna

Mi nasconda la notte e il dolce vento.
Da casa mia cacciato e a te venuto
mio romantico amico fiume lento.
Guardo il cielo e le nuvole e le luci
degli uomini laggiù così lontani
sempre da me. Ed io non so chi voglio
amare ormai se non il mio dolore.
La luna si nasconde e poi riappare
lenta vicenda inutilmente mossa
sovra il mio capo stanco di guardare.


Io porno a Bologna

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Vuoi riappropriarti della visione di te stessa come soggetto carnale e riscoprire in forma collettiva la potenza evocativa di un erotismo che superi le finzioni plastificate dell’immaginario mainstream?

Partecipa a Io Porno, laboratorio di autoproduzione pornografica per donne, lesbiche e trans sabato 26 settembre, dalle ore 12.30 alle 19 presso il Centro delle Donne di Bologna.

Sara Porno (Casa delle Donne - Lesbiche Fuorisalone)

Sara Porno (Casa delle Donne – Lesbiche Fuorisalone) ph. Alessandra Tisato

Il laboratorio si propone come spazio di riflessione e creazione di immagini che possano rappresentare la nostra bellezza e il nostro desiderio fuori dagli standard mercantili e dell’oppressione patriarcale.

Il percorso di ricerca e creazione che proponiamo per la giornata del 26 settembre si aprirà con un momento dedicato alla teoria e alla conoscenza: ci scambieremo informazioni e materiali diversi sul sesso e sulla sua rappresentazione per preparare la seconda parte del laboratorio, quella in cui cercheremo di ricreare, attraverso delle sessioni fotografiche, immagini che rispecchino le nostre fantasie e l’idea del nostro sé desiderante e desiderabile.

Ad accompagnarci sarà il talentuoso occhio meccanico di Svalilla.

(per maggiori informazioni e iscrizioni scrivere a ziaslavina@gmail.com – sarà possibile iscriversi fino a venerdì) 

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traduzione fresca fresca – dal Feis (come dice mia sorella) di Ana Elena Pena

 

contenuto riportato al dominio pubblico, autoria desconocida

contenuto riportato al dominio pubblico, autoria desconocida

 

Che ti possano amare rabbiosamente, fino al midollo,
che si faccia luce fino nell’ultima cellula.
Che tu possa trovare chi ti adori in pigiama, coi capelli sporchi e appiccicati, le unghie rosicchiate e la smorfia cupa di quei giorni in cui vuoi solo morire o uccidere o tutte e due le cose.
Che possano addomesticare con polso saldo i mostri che dormono sotto il tuo letto, celebrino tutte e cadauna le tue sconfitte e ascoltino ipnotizzati il tuo lato oscuro.
Che tu possa meritare e che ti meritino senza nessun dubbio
e una cazzo di volta per tutte.
Che possano non sbagliare la mira
e tu cada fulminato davanti all’evidenza
che questa volta, SI.

 

 

(versione originale di Ana Elena Pena, artista poeta artigiana che io ammiro e a cui voglio anche bene – qui tutti i post del blog che le ho già dedicato, qui il suo sito dove potete assumerla in diversi formati – fa di tutto!)

 

Ojalá te quieran rabiosamente, hasta el tuétano,
y se haga la luz hasta en la última célula.
Ojalá encuentres a quien te adore en pijama, con el pelo revuelto y sucio, las uñas mordidas y el gesto sombrío de esos días en los que solo quieres morir o matar o ambas cosas.
Ojalá domestiquen con pulso firme a los monstruos que duermen debajo de tu cama, celebren todas y cada una de tus derrotas y escuchen hipnotizados tus caras B.
Ojalá merezcas y te merezcan sin lugar a dudas y de una puta vez.
Ojalá no yerren el tiro,
y caigas fulminado ante la evidencia
de que esta vez, SÍ.

LEZ talk about sex – in collaborazione con Lesbiche Fuorisalone

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dalla stanza tutta per sé alla stanza tutta per noi

dalla serie Nicoz Balboa goes porn

dalla serie “Nicoz Balboa goes porn”

laboratorio di scrittura erotica per lesbiche, bisessuali e possibiliste.

Dopo il successo de Le parole che non o/so dire, che nel maggio scorso ci ha unite nel raccontare sogni ed esperienze sessuali e sensoriali, Slavina ripropone un incontro di elaborazione collettiva e sperimentazione che ha per oggetto l’esperienza del desiderio e la sua realizzazione.

 

le parole che non o/so dire (Milano, maggio 2015)

le parole che non o/so dire (Milano, maggio 2015)

La finalità del laboratorio è valorizzare gli immaginari e le pratiche della sessualità tra donne: ci muoveremo lungo un filo rosso che va da Saffo a OTNB per trovare spunti e ispirazioni grazie ai quali ognuna possa raccontare la sua storia. Dal primo amore alla prima dark room, tra stereotipi, archetipi e leggende metropolitane, ne inventeremo delle belle.

 

Il laboratorio si terrà venerdì 16 ottobre dalle 19 alle 22.30 al CAM PONTE DELLE GABELLE, Via San Marco, 45

 

(per info e prenotazioni scrivi una mail a lesbiche.fuorisalone@gmail.com)

Uomini che ce la fanno e lesbiche che no (la posta del culo is back!)

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Cara Slavina

ho un problema che mi ha fatto letteralmente venire le emorroidi e visto che questa è la Posta del culo e che te la meni da esperta di femminismi e relazioni non convenzionali ho deciso di rivolgermi a te.

Per prima cosa voglio garantirti che ti diró tutta la veritá e solo la veritá. E devi credermi, perchè non ho nessun interesse a mentirti.

Fatta questa necessaria premessa, ecco i fatti.

Faccio amicizia con una ragazza molto simpatica e anche decisamente bella. Come quasi tutte le donne con cui mi viene facile ultimamente avere rapporti di amicizia, è lesbica.

La frequento per un po’ di tempo. Parliamo bene, stiamo bene insieme, ci divertiamo.

A un certo punto, succede.

Scopiamo.

Senza penetrazione, ma tu m’insegni che una scopata non passa necessariamente per la penetrazione, giusto? Qualche cosetta l’abbiamo fatta, anche notevole considerato che si è sempre definita (e mi è sempre sembrata) lesbica.

L’episodio non ha conseguenze e nemmeno apre alla nostra relazione altri sviluppi. Continuiamo ad essere amici, a vederci quando possiamo (non viviamo nella stessa cittá), ad essere in confidenza.

Ora, l’ultima volta che passo per la sua cittá mi invita a cena e rimango a dormire da lei.

Lei si addormenta subito come un sasso, io rimango sveglio a guardarla, quando a un certo punto (forse stava sognando, almeno io cosí l’ho interpretato) mi comincia a limonare duro. Io non mi tiro indietro. Mi viene pure un po’ duro ma mi faccio i cazzi miei.

Dopo avermi baciato si gira e ci rimettiamo a dormire e penso bona lí.

Il brutto viene la mattina dopo.

A colazione è incazzata, ha la faccia scura. Le chiedo cos’ha e mi aggredisce. Dice “Non è stato bello da parte tua ficcarmi la lingua in bocca mentre dormivo”. Rimango come uno scemo. Provo a spiegarle che è stata LEI a ficcarmi la lingua in bocca ma mi guarda come se fossi uno dei massacratori del Circeo, per cui smetto anche di cercare di difendermi e m’azzitto.

Quando ci salutiamo lei è ancora risentita, io sono offeso. Tutto è di una freddezza bruttissima. Ma non eravamo amici?

Sono passate settimane e invece di farmi una ragione di quello che è successo sono sempre piú incazzato. Vorrei rivederla solo per mandarla affanculo, per dirle che come si permette di appiccicarmi l’etichetta di violentatore addosso, io che non sono nemmeno capace di provarci con le tipe (in genere ci provano sempre loro).

Non riesco a farmi passare l’incazzatura. Tu che ne pensi?

Bukowski ’71

 

 

Caro Bukowski,

la tua storia mi ha fatto tornare in mente un episodio della mia tardoadolescenza. Avevo un amante che non riusciva ad avere una relazione serena coi profilattici. Ogni volta che se ne infilava uno, la sua erezione scemava paurosamente, causando imbarazzo e sensi di colpa reciproci. Con lui succedeva una cosa magica, per cosí dire. Molto spesso ci trovavamo a scopare mentre eravamo addormentati. Nel bel mezzo della notte ci prendeva questo raptus incontrollabile e daje, finiva con il tipico su e giú. Ovviamente, essendo io mezza addormentata non avevo la luciditá di controllare se si fosse messo il preservativo – le poche volte che controllavo, ci puoi credere? Col cazzo che se l’era messo. Magia.

Ero giovane e innocente e questi episodi erano per me una manifestazione di amore da sogno (o meglio, da sonno). Cominciai a sentire puzza di bruciato (se non proprio di merda) quando scoprii, confrontandomi con altre amiche che avevano frequentato le sue notti, che questi episodi di onirismo porcino erano abituali nel suo letto. Non era il nostro amore – che nel frattempo era svaporato – ad attrarci invincibilmente l’uno verso l’altra. Era che quel paraculo aveva trovato un modo disonesto (e anche pericoloso) di superare il suo empasse coi preservativi. A spese delle altre.

Da allora ogni volta che lo vedo gli vorrei sputare in faccia, ma mi trattengo. Perchè in fondo mi fa pena, sono passati millenni e il mio sputo non cambierebbe niente. Peró a ricordarlo mi fa ancora rabbia…

Il momento del sonno – e del sogno – è molto delicato. Condividere il letto con qualcuno è una cosa che richiede un livello di confidenza molto alto, che a volte sottovalutiamo. Nel sonno siamo indifese, vulnerabili e piú vere del vero. Piú esposte a qualsiasi tipo di trauma. E bisogna avere tanta intimitá con una persona per consegnargli il nostro io addormentato.

Ora io ti chiedo, Bukowski, tu da me che vuoi?

Se vuoi l’assoluzione della Vera Femminista TM, hai sbagliato indirizzo.

Se vuoi che ti dia ragione e una pacca sulla spalla, becchiamoci, mi offri una bottiglia di vino e io ti daró ragione fino a domattina.

Quello che posso fare da questo pulpito, invece, è aiutarti a capire (che mi sembra la cosa che ti puó essere piú utile in questo momento e che puó essere utile a chi legge).

Da come mi hai raccontato la storia, mi sembra che tu abbia un po’ sottovalutato l’impatto che hai avuto sulla vita di questa persona. Lesbiche non si nasce, si diventa. E anche – e spesso – con un grosso lavoro sul contesto che una vive, oltre che su di se.

Forse quell’episodio di sesso che è successo tra voi – che mi hai raccontato con un po’ di superficialitá e con una punta di orgoglio di “maschio che ce la fa” – nella vita della tua amica ha avuto una ricaduta che ignori. Puó aver fatto traballare certe sicurezze costruite con molta fatica e averla lasciata confusa, oppure semplicemente l’ha vissuto come una forzatura innecessaria e sgradevole – in cui lei ha fatto la sua parte, certo…

Ha cambiato degli equilibri e anche se entrambi avete fatto finta di niente, niente è stato piú come prima. Io ti chiederei di non avercela con lei e di relativizzare, e piuttosto che offenderti e far montare la rabbia, spiegati. Non dalla posizione di “unico uomo sulla Terra che certe cose non le fa” (io confido che ce ne siano molti, nonostante la mia esperienza negativa) ma da amico – se veramente le sei amico – che non vuole lasciare che lo spazio d’ombra del sospetto di essersi messa nel letto un viscido di merda la insegua per anni (e ti lasci la nomea del porco – che temo sia la cosa che piú ti preoccupa…)

Poi puó essere anche che invece questa tipa sia solo una stronza che si diverte a giocare con l’Ego degli uomini che s’innamorano delle lesbiche (non sei l’unico, te lo posso assicurare), ma in quel caso il problema è tutto tuo e quello che devi fare è sceglierti un po’ meglio le amiche e/o le amanti.

Le lesbiche, quando si dichiarano lesbiche e non queer, bisessuali, pansessuali o ndo cojo cojo, in genere sono proprio lesbiche.

Pornosotrx a Bologna!

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Pornosotrx è stato uno dei miei primi progetti di pornografia “sociale” (in cui proponevo un formato e fornivo le conoscenze tecniche per realizzarlo). si basa sulla sfida di lavorare sottraendo l’immagine (e il suo autoritarismo) alla dimensione del desiderio, che in questo caso nasce nel buio e ti prende per le orecchie.

unisce piú livelli, quello della scrittura erotica, quello dell’interpretazione e l’elaborazione sonora.

RADIO PORNOSOTRX

per questo sarà diviso in due parti:
giovedí 19 novembre dalle 19.30 alle 22.30 laboratorio di scrittura
venerdí 20 novembre dalle 19.30 alle 22.30 realizzazione delle clip audio con Audacity (software libero, per ricordarci che nel mare di “servizietti” web apparentemente gratuiti qualcosa di veramente libero ancora c’è)

il luogo in cui lo faremo è segreto (sappiamo per esperienza diretta che anche nella “città più libera del mondo” chi ospita esperienze pornografiche assume un rischio – nel 2015. anche se si tratta di pornografia etica, femminista, consensuale e tra persone adulte. non gli bastano lo sfruttamento sul lavoro e gli sgomberi degli spazi autogestiti, è proprio l’autodeterminazione che dá fastidio al Potere. e rivendicarla è un atto più radicale di quanto si possa immaginare – quindi come carbonare scegliamo strategicamente, per questa volta, di non essere visibili ne’ tracciabili, per quanto ci è possibile)

le clip potranno diventare pubbliche (sarà l’occasione per dare una botta di vita alla web di Pornosotrx, che è un po’ abbandonata da anni e sopravvive grazie alla generositá e alla simpatia dell’oste – il supereroe che ci concede l’hosting), altrimenti rimarranno di proprietà di chi le ha create
(qui una clip esplicativa – il mix audio fa un po’ schifo ma è la prima che facevo)

il laboratorio vorrebbe essere misto, anche se le iscritte finora sono tutte donne.

c’è ancora qualche posto libero, se ti interessa e/o vuoi avere più informazioni scrivi a ziaslavina@gmail.com

AVVERTENZE (Alessandro Mazzà)

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Conservare il cuore in luogo asciutto,
al riparo dai temporali non improvvisi e dalle piogge acide di lacrime,
dai ladri e dagli assassini di tempo e di parole,
dall’inganno dei giorni,
dalla comprensione degli altri, dalle emozioni non violente.

da Apocalissi Dispari

Uno stupro amichevole – reload

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(è una versione leggermente diversa da quella originale. più matura direi.
è stata pubblicata su LASPRO rivista di narrativa sociale)

non sei sola (foto di Svalilla dal laboratorio Io Porno, Bologna 2015)

non sei sola (foto di Svalilla dal laboratorio Io Porno, Bologna 2015)

Due anni fa, all’inizio dell’estate, ebbi una conversazione illuminante con alcune amiche. Parlavamo di violenza sessuale, nello specifico di quelle che avevamo subito.
Io, un po’ smargiassa, sostenevo di non essere mai stata violentata. Mi vantavo un po’ di una serie di feature animalesche sviluppate in quanto ragazza di borgata (l’occhio del ramarro, la velocitá della gazzella e l’istinto del riccio) che singolarmente e combinate tra loro m’avevano salvato letteralmente il culo in piú d’una occasione di pericolo. Riflettevo anche sul fatto che, pur essendo una psiconauta frequentatrice abituale della via dell’eccesso, in realtá non sono mai stata una sfasciona professionale, di quelle che si mettono nei guai per candore alcolico o ingenuitá chimica.
Neanche il tempo di sentirmi cosí sveglia e fortunata insieme che una delle amiche, guardandomi a lungo negli occhi mi dice: non vorrai dirmi che nessun amico t’ha mai stuprato?
E lí ho deglutito duro e pure se non mi ricordavo bene, ho sentito che non avrei potuto rispondere che no, nessun amico mi aveva mai violentato.
Perché ci sono violenze alle quali non abbiamo il coraggio di dare questo nome; perché è troppo duro ammetterlo, perché magari in quel momento abbiamo lasciato fare, perché uno strillo non ci stava e nemmeno uno spintone – ma perché poi?
A distanza di tanti anni mi chiedo ancora perché non ho avuto il coraggio e la forza di urlargli NOOOOO, CAZZO! e di allontanarlo con una legittima dose di violenza…

La storia è semplice e banale e credo assomigli a un sacco di altre.
Lui era un mio amico. Anzi, di piú. Quando avevo vent’anni e avevo giá alle spalle qualche anno di attivismo studentesco ebbi con lui una storia d’amore breve e abbastanza tormentata. Non viveva in Italia ed era un compagno di provata fede, sensibilitá e intelligenza. Aveva una decina d’anni piú di me ma a quei tempi uno che non avesse almeno un lustro di vantaggio non lo riuscivo proprio a considerare.
Duró poco ma fu un amore intenso e pieno di parole – a quei tempi ancora si scrivevano e spedivano lettere; fu un amore illegittimo e pieno di lacrime, perché io avevo un fidanzato che non volevo lasciare, anche se mi sembrava di essere follemente innamorata di quest’altro (a quei tempi lo chiamavo il complesso di Jules et Jim ed era una primitiva consapevolezza del fatto che un uomo solo né mi sarebbe mai bastato, né avrebbe potuto mai sopportarmi intera).
Insomma Goran (chiamiamolo cosí, che era il nome che gli davo nelle poesie – sí, ero un’attivista che scriveva poesie e indossava minigonne di pelle blu elettrica – proprio normale non sono mai stata) mi tolse definitivamente di dosso il peso della forzata innocenza monogamica e poi partí per il Messico, paese dove soggiornava regolarmente durante gli inverni europei. Io intanto mi ero giá follemente innamorata di qualcun altro e lo persi un po’ di vista.
Lo ritrovai su Internet, alcuni anni dopo. Mi mandava mie foto che trovava in giro per la rete e mi diceva sempre che ero tanto bella.
Poi un giorno mi scrisse che veniva a Roma, per una mostra. Che se lo passavo a salutare, che aveva un sacco voglia di vedermi e sapere che facevo e come mi andava.
Mi andava male, mi sembra di ricordare. Risposi con entusiasmo alla sua mail e ci vedemmo la sera stessa. Era abbastanza uguale a come lo ricordavo: bassetto, biondo e con gli occhi belli, di un’intelligenza un po’ crudele. Aveva piú panza di quanto ricordassi e glielo feci notare.
Io ero stanca e dopo due canne mi sentivo una donna da buttare.
Non ricordo dove fosse la mia casa a quei tempi. Sicuramente troppo lontana, tanto che lui mi disse: se vuoi puoi fermarti a dormire da me, ho una stanza in un hotel qua vicino, tranquilla.
Ora, qualsiasi persona di buon senso che abbia vissuto anche solo pochi mesi della sua vita a Roma sa che “Tranquillo ha fatto una brutta fine”, ma come potevo non fidarmi di lui? Del compagno fondatore di riviste insurrezionaliste che aveva respirato la puzza dei piedi del subcomandante Marcos, dell’amico che m’aveva regalato un coltello, perché puó sempre servire, dell’idolo che praticava la rivoluzione permanente, dell’uomo che m’aveva sedotto raccontandomi per filo e per segno la dinamica di non so che riot di inizio anni ‘80 come se fosse la battaglia di Magenta…
Mi fidai. Salimmo in camera sua. Neanche avevamo cenato: mi buttai sul letto a peso morto e gli dissi: Domattina facciamo una bella colazione, eh?
Lui mi disse: Ti faccio un massaggio. Io gli dissi Ah non lo rifiuto di certo, peró sappi che ho sonno e ho bisogno e voglia di dormire. Lui mi disse un’altra volta Tranquilla.
Il resto è confuso e amaro di sapore. Mi tolgo la maglietta (Sennó, scusa, che massaggio è?) e affondo la testa nel cuscino.
Lui mi tocca la schiena per una decina di minuti, nemmeno, e poi si fionda sul culo. Mi vuole togliere le mutande. Io gli dico che no, ma evidentemente la protesta è troppo blanda. Sono stanca morta e comincio a capire come andrá a finire. Gli dico Dai Goran, magari domattina, è che adesso ho proprio sonno. Mi dice mettiti giú, tranquilla. Mi giro di spalle e cerco di pensare che non sono lí. Si avvicina, mi infila la faccia nella fica, poi ci mette un dito, due dita. Si muove lí dentro, mi allarga, si fa strada. Io sbuffo, mi tiro su e gli dico Ma che fai? Lui sorride e io mi sento una merda. Rimango seduta, tutta rannicchiata: mi bacia e vuole guardarmi negli occhi. Io abbasso lo sguardo e provo a dire È che non mi va e giro la testa, ma lui mi segue, mi infila la lingua in bocca, mi da un milione di odiosissimi bacini sul collo, sulle guance, dovunque arrivi.
Io sento che a sto punto dovrei piangere ma non mi va di piangere, vorrei solo dormire e allora mi rimetto giú e m’affogo nel cuscino.
Lui lo prende come un via libera e a quel punto fa tutto da solo. Sono troppo mortificata per fare qualcosa di diverso dal subire. Penso che se smetto di resistere magari finisce prima.
Si mette un preservativo, entra, stantuffa e se ne viene in un tempo che mi sembra lunghissimo, durante il quale penso che sono una stupida e che è colpa mia, che qui non ci dovevo venire e che questa storia non la sapró mai nemmeno raccontare.
Non mi ricordo la mattina dopo, so che da allora ho sempre accuratamente evitato di incontrarlo. L’ho odiato e non gliel’ho mai saputo dire.
Ho odiato me stessa per non aver saputo reagire. Per tanto tempo ho rimosso il ricordo di quella notte in cui mi sono sentita usata, tradita, insultata.
Eppure alla fine a me stessa sono riuscita a perdonare tutto: l’ingenuitá, l’incapacitá di reagire e il silenzio.
Lui non l’ho perdonato, e in fondo neanche mi interessa piú farglielo sapere. Ho fatto talmente tanti chilometri che ho smesso di considerare questa storia una questione personale.

Penso sia piú utile raccontarla alle donne – e soprattutto agli uomini – che la sapranno ascoltare.


Lina Mangiacapre

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Lina Mangiacapre - Elio-gabalo

Lina Mangiacapre – Elio-gabalo

lei è Lina Mangiacapre, una poliedrica artista del femminismo.

filosofa, politica antipolitica, pittrice, fotografa, regista e compositrice, militante femminista, saggista e poetessa (prendo le definizioni dalla sua biografia), utilizzava il termine Transfemminismo già negli anni ’70 (!!!!!). rielaborava la mitologia esaltandone il potenziale rivoluzionario di collante collettivo (fondó un gruppo chiamato le Nemesiache) e inventó il metodo della psicofavola – che usó tra l’altro in laboratori di creazione artistica con le donne del Frullone (ospedale psichiatrico di Napoli).
un personaggio originale e interessante, ovviamente sconosciuto alle più e assolutamente marginale nelle genealogie del femminismo ufficiale.
le sue opere sfiorano il sublime e sfidano il trash, che lei stessa attraversava senza paura, sfoggiando anche nella sua vita quotidiana un’estetica a dir poco pittoresca.
i suoi testi sono densi e pieni di ispirazioni e le sue riflessioni molto avanzate, rispetto agli anni in cui viveva.

oggi ho visto un breve documentario su di lei (realizzato grazie a un finanziamento collettivo dalla giornalista Nadia Pizzuti) insieme alla mia socia, dopo che un’altra amica l’aveva commentato cosí “eri tu, negli anni ’70, a Napoli”.

e sono lusingata ma devo dire la veritá: nell’idea dell’arte come rivoluzione condivisa (e della rivoluzione come arte condivisa), nella sfida costante alla norma-lità e alle sue categorie opprimenti (e deprimenti) ma soprattutto in quella marginalità borderline io e Rachele ci siamo ritrovate un sacco.
e ci è venuta voglia di conoscerla meglio e di farla conoscere (questo post è un primo, piccolo omaggio).

la libertá non si compra ma si paga (spesso in termini di solitudine, invisibilitá, isolamento)
ma come diceva Lina
CI SONO GUERRE, SORELLA, CHE NON SI POSSONO NON COMBATTERE

 

 

 

[nell’immagine che illustra il post Lina è in scena con un Eliogabalo.
sorrido se penso che una delle prime performance a cui presi parte era basata sul testo di Artaud dedicato all’imperatore romano. io avevo scelto di vestire i (pochi) panni della madre indecorosa. avevo una pancia finta e i capezzoli colorati di rosso, come le prostitute romane.
in una delle prime rappresentazioni (eravamo, ça va sans dire, in un centro sociale) un coglione che forse non aveva mai visto un paio di tette in vita sua cominció a fotografarmi come impazzito, accecandomi con il flash e provocando l’ira funesta del mio fidanzato dell’epoca, che trovava intollerabile la mia mancanza di pudore e che non mi parló per una settimana.
del coglione che fotografava giá non me ne fregava niente (oltretutto ero dietro a un vetro e visto che usava il flash non avrebbe ottenuto nessuna foto leggibile), ma per il fidanzato penai moltissimo, col senno di poi direi decisamente troppo.
ma poi a salvarmi – forse già lo sapete – arrivó la sorellanza…]

Pablo è vivo

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(un dolce commiato senza pretese)

sono giorni tristi per la comunità dell’attivismo e delle lotte sociali di Barcellona.
domenica scorsa se n’è andato Pablo, uno dei protagonisti più vivaci e instancabili dei movimenti degli ultimi anni.
Quando un vivo s’uccide c’è grande effervescenza fra i vivi. diceva il poeta.
quando un compagno o una compagna decidono di lasciare questo mondo nel petto di chi resta si apre un baratro fatto di rimorsi, rimpianti e un senso di colpa difficili da superare. manca il fiato.
(lo sconforto in spagnolo si chiama desaliento, perché è vero che fatichi pure a respirare, figuriamoci il resto)
soffriamo pensando che dovremmo aver fatto più attenzione, avuto più cura, amato di più e meglio. il suicidio ci interroga sul nostro valore come amici, come compagni di strada e di lotta, come esseri umani.
e ogni suicidio richiama gli altri che abbiamo vissuto da perdenti, con questo dubbio dilaniante – che letto a mente lucida è idiota – del “forse avrei potuto evitarlo”.
ogni vita è quella che doveva essere, io me lo ripeto da un po’ di anni e cerco di crederci. non è un’autoassoluzione facile, è che a certe cose, per quanto ti sforzi, non riuscirai mai a dare una ragione.

la vita di Pablo è stata intensa e anche se lo conoscevo molto poco, non dubito che sia stata piena di amore. impegnarsi per rendere il mondo un posto migliore, alzarsi ogni mattina sapendo che non sarai capace di far finta di niente davanti alle ingiustizie, mettere in gioco il tuo tempo e il tuo corpo per un bene che non è solo tuo, ma di tutte e tutti… io non conosco nessuna forma di amore più grande.

e questo è il mio piccolo omaggio a un grande combattente, che andró a salutare con la valigia in mano tra poche ore, per cercare di riempire questa voragine che mi si è aperta dentro insieme agli altri e alle altre che gli volevano bene, che insieme a lui camminavano e costruivano un’altra vita possibile. piangeró ancora e poi smetterò di piangere e riprenderó fiato, perché la nostra resistenza è fatta anche di questo: tenersi dentro come un tesoro tutti i sorrisi e gli occhi accesi che mancano all’appello.

hasta siempre Culebrae, hasta otra
otras fiestas, otras calles, otras barricadas

Pablo Molano Romero (foto di Jean Eves presa da FB)

Pablo Molano Romero (foto di Jean Eves presa da FB)

questo era Pablo. non piangereste pure voi?

 

>>>>>>>>>> e per chiudere, visto che l’ho citata, un po’ di poesia (non cura ma consola)


Jacques Prévert – L’orq’un vivant se tue…
(Quando un vivo s’uccide)

Quando un vivo s’uccide’ c’è grande effervescenza fra
i vivi.

Come quando la casa va in fiamme, si battezza il piccolo o si schiaccia il gatto con la carrozzella, per sbaglio.

– Lo vedevamo cosi spesso, col sorriso sulle labbra e il bicchiere in mano, e s’è ucciso, pare incredibile…

– E per quale ragione?

E tutti a trovare una risposta.

Strana domanda poco viva, strane risposte poco vive.

Spesso, gli uomini rivendicano quella che chiamano la Verità: con incoerenza, ma avidamente, i loro occhi implorano la menzogna. Molti vivono di simulacri e per loro questi simulacri sono piu indispensabili del pane, dell’acqua, del vino, dell’amore o dei lacci delle scarpe.

Per fortuna e sfortuna e concorso di circostanze, infanzia privilegiata, caduta da piccolo, insomma una cosa qualsiasi, colui che vuole e può sfuggire a questo spaventoso modo di vivere e che sa che al di là della banchina i biglietti sono comunque validi, dato che non ha preso il biglietto tenta di vivere diversamente, tenta di vivere da vivo.

A volte ci riesce.

E come quel tale dimostrava il movimento camminando, lui dimostra la felicità vivendo felice.

E s’abitua a quella vita.

Ma quasi tutto si schiera contro i vivi vivi.

Ed ecco il Coro sprezzante: “Guardate quello, si lascia vivere senza dar le proprie Ragioni!”

Qualche volta il vivo si stufa.

Qualche volta un essere che adora la vita s’uccide
ancora tutto vivo e morendo sorride alla vita.

Il cavallo che sa calcolare e che s’uccide nel bel mezzo dello spettacolo, in piena pista, il pubblico immagina che abbia fatto uno sbaglio coi numeri e che non possa sopportare un simile disonore.

Bravo cavallo che sa calcolare!

Da piccolo, quando t’insegnavano a frustate a far finta di contare, tu pensavi già alla morte, ma nessuno lo sapeva.

(non ho trovato l’originale in francese)

Trentanni Forti

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ho perso la deadline per consegnare il mio raccontino sul Forte Prenestino, che in occasione del trentennale pubblicherá anche un libro collettivo che raccoglie le memorie di chi lo ha attraversato.
non riuscivo a scrivere qualcosa che mi sembrasse completo, volevo dire tutto e non riuscivo a dire niente così oggi mi sono detta Devo dirne almeno un po’
poi non lo so se finisce nel libro, ma intanto chi vuole lo puó leggere e io faccio pace con me stessa pubblicando una cosa che poteva essere meglio ma intanto questa è…
d’altronde
il perfetto è nemico del possibile
(noi ragazzi dei Centri Sociali lo sappiamo bene)

 

 

per raccontare il Forte devo mettere ordine in piú di vent’anni di ricordi e solo a pensarci mi prende una dolce vertigine.

per me il Forte è stato un posto pieno di prime volte, una porta spalancata sul mondo che volevo, un’esperimento di vita, qualcosa che travalica qualsiasi tipo di scrittura che posso immaginare. peró ci provo lo stesso, perchè se Ho cancellato impossibile dal mio vocabolario lo devo anche a quel pezzo (grosso) della mia vita che si è sviluppato lá dentro.

la prima volta che sono entrata al Forte era un Halloween del ’92.

quattro scalmanate, due motorini: arrivammo dopo esserci perse varie volte sulla Prenestina. non avevamo nemmeno 18 anni, ci eravamo messe della farina in faccia e il rossetto rosso sangue anche se mica ci convinceva tanto sta roba della festa yankee (allora era ancora una provocazione abbastanza originale celebrarla, non come ora) ma eravamo troppo curiose di vedere il Forte, e quella era l’occasione giusta.

ballammo in Torretta, girammo per i tunnel. mi innamorai perdutamente di tutto, ma soprattutto di quelle mura umide che ci avevano accolte. un avamposto di guerra trasformato in un luogo di festa e di libertá… eravamo cosí felici che fummo capaci di perderci anche al ritorno.

poi mi ricordo il mio primo Primo maggio, anno ’96. nel parco esterno non c’erano ancora le scale e io indossavo delle irragionevoli scarpe col tacco. non so nemmeno io come riuscii a non rompermi una gamba.

in mezzo a quel delirio bello di suoni e odori e colori, m’innamorai un’altra volta. a prima vista, perdutamente e molto stupidamente. lui era un amico del mio fidanzato e anche questa volta persi la strada di casa. era un messaggio chiaro che peró a quell’epoca non riuscii a interpretare.

1998: la prima volta del Forte “al pomeriggio”, che mi rubó definitivamente il cuore e spostó tutti gli organi interni.

ero una compagna militante di un’altra area e dalle mie parti di *quelli del Forte* si parlava con un po’ di scherno. erano i saltimbanchi, quelli che in piazza portavano la techno e venivano coi trampoli. io peró uno del Forte una sera l’avevo rimorchiato e poi la sera era diventata mattina e visto che al pomeriggio ancora non schiodavo mi aveva detto: Devo passare al Forte, ti va di venire? eccome se mi andava…

e quando arrivammo mi sembró di entrare nella tana del Bianconiglio. gente che fotografava, altri costruivano cose, chi semplicemente chiacchierava, e poi la musica, quella musica che ti entrava nella pancia… era estate e c’era un sole che tingeva tutto di giallo e anche la mia felicità era gialla. mi ero innamorata un’altra volta. stavolta di tutti.

fu cosí che decisi di tornarci e di restarci, al Forte. nella mia militanza volevo quell’amore e quella felicitá. e un po’ li trovai.

 

quando parliamo del Forte è come se facessimo riferimento a una gigantesca entitá collettiva, un corpo con moltissimi organi, un sovrapporsi piú o meno armonico di storie, desideri, impulsi, dolori, sogni. il Forte, fantastica sostanza agglutinante che tiene insieme, il Forte non solo luogo ma direzione, prospettiva.

negli anni in cui lo attraversai il Forte era un posto pieno di futuro.

se ci ripenso mi commuovo e sento dentro ancora quella potenza di essere una tra tante e parte di un tutto inarrestabile e invincibile. allora per decostruire tanta retorica mi aggrappo a certe immagini che un po’ mi fanno ridere.

il Forte quando facevo il turno in sottoscrizione a controllare l’abnorme fila che aspettava di entrare e tirava sul prezzo. Serena, cappuccio in testa e sorrisone, mi dice: Devi urlare Scudo alla mano! perchè cosí la fila scorre [lo scudo a Roma sono 5 euro] e io che ci provo e urlo Scu… ma poi non ce la faccio perchè mi vergogno e rido come una scema. dentro c’è la festa o il concerto o solcazzo e noi stiamo fuori a fare il turno e mi dico Oh ma che cazzo rido e invece rido perchè noi siamo pure un po’ dentro ma siamo soprattutto fuori.

il Forte alla fine delle feste, quando smontiamo la consolle con cui facevamo live video e Agnese si accolla sempre di rimettere a posto il computer della sparaconcetti che aveva un monitor enorme e pesante e lei sembrava cosí piccola ed eravamo tutte cosí stanche che pensavo Ma come cazzo fa? e poi l’ho capito ed era pure facile da capire, a stare insieme diventavamo un po’ piú grandi e soprattutto piú forti.

al Forte ho imparato quasi tutte le cose che mi hanno fatto crescere e diventare quella che sono. dentro al Forte e con il Forte ho fatto le mie prime performance, ho messo le mani su tecnologie che non conoscevo e che sono diventate le mie armi. sempre Serena [non è per personalizzare, ma il Forte era ed è fatto di persone e da femminista ho un grande rispetto per le genealogie e gratitudine per chi con me ha condiviso saperi] in un giorno lontano del secolo scorso mi insegna ad usare ctrl c+ ctrl v.

usavo il computer come se fosse una macchina da scrivere e forse adesso questa cosa puó risultare incomprensibile nella sua grandezza, ma capire che potevo copiare e spostare altrove una parte di testo per me fu una specie di rivoluzione copernicana.

il Forte cuore della Rivoluzione, non solo della MIA rivoluzione, il Forte che per primo tra tutte le strutture politiche autogestite della Capitale si dota di un’interfaccia di dialogo coi media mainstream, un ufficio stampa che rende richieste e proteste piú comprensibili pure a chi non ci vuole comunque ascoltare. il Forte comunica e inventa media che sono veramente nostri, infetta l’idea della televisione, sconvolge la vecchia guardia perchè la festa è politica e se non possiamo ballare non potrá mai essere la nostra Rivoluzione.

al Forte un pomeriggio mi spoglio nuda perchè Proviamo a vedere come funzionano le proiezioni sui nostri corpi e a un certo punto arriva il mio fidanzato che si incazza ed esce dal tunnel prendendo a calci un tavolo e un altro compagno gli fa Ao ma mica stai a casa tua! e sbagliava, perchè il Forte era proprio casa nostra e dentro c’erano pure tutte le magagne e le contraddizioni.

Al Forte per la Ladyfest del 2009 faccio il mio primo laboratorio di postporno e mi prendo le questioni coi maschi perchè Noi non siamo separatisti (eh…) e poi mi prendo le questioni con le partecipanti, perchè era stato tutto troppo potente e io ancora non lo sapevo gestire e allora capisco che d’ora in poi le questioni dovró prendermele da sola, scudo alla mano, perchè ormai non sono piú del Forte

e mi manca un po’ quel senso di sfida collettiva quotidiana ma tutto quello che ho imparato e tutto l’amore che lí dentro ho preso e ho dato ancora mi accompagna

e mi fará essere Forte

per sempre.

sorelle nel tunnel (Crack 2012)

sorelle nel tunnel (Crack 2012)

Esplicite finzioni: raccontare il desiderio

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il 17 marzo a Milano presento un nuovo formato di laboratorio di scrittura erotica – buono anche per absolute beginners, le timidissime, le lettrici delle Sfumature e quelle che non sanno cosa vuol dire *queer*
(una collaborazione con le mie amiche di Valigia Rossa)

Night Dew di Shah (Silvia Potenza)

Night Dew

Strette nelle maglie di una quotidianità stressante e a volte alienata, spesso dimentichiamo il potenziale liberatorio della sessualità e delle fantasie ad essa relazionate.
Esplicite finzioni vuole essere uno spazio di creazione in cui ritrovare la capacità di andare oltre, di *sognare forte* e di riuscire a raccontarlo. 
Un momento di esplorazione dell’immaginario erotico nelle sue declinazioni plurali che ha lo scopo di fornire alle partecipanti gli strumenti letterari per articolare una narrazione: troveremo le parole per descrivere la passione, sia quando ha la forma di un desiderio concreto, sia quando è pura invenzione, miraggio di un’oasi in cui ritrovarsi o perdersi.

Il laboratorio sarà strutturato in due parti: nella prima analizzeremo alcune forme di rappresentazione erotica letteraria (come scrivere una scena di sesso, dalla presentazione dei personaggi allo svolgimento tra linearitá ed ellissi); successivamente le partecipanti, attraverso dei giochi di scrittura tesi ad abbassare il più possibile la soglia del pudore e dell’inibizione, arriveranno a comporre un loro racconto (che potrà essere realizzato in forma di narrazione, poesia, dialogo o lettera d’amore).

****giovedí 17 marzo dalle 19 alle 21 c/o Gogol Cafè Letterario – Via Chieti, 1

****il laboratorio ha un costo di 30 euro e prevede un numero massimo di 10 partecipanti

per info e prenotazioni:
ziaslavina@gmail.com
lucia_milano@lavaligiarossa.it

La notte è nostra*

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Scommettiamo su un femminismo che ci definisca per ciò che facciamo, non per ciò che dica che siamo. Scommettiamo su un femminismo autocritico, dall’interno verso l’esterno, che riveda le nostre pratiche quotidiane, le nostre relazioni. Un femminismo che sia capace di smascherare tutti gli spazi che il patriarcato occupa nelle nostre vite. Che lo affronti e non rimanga in silenzio.

Un femminismo che non sia una toppa su una maglietta, una spilla in più, una posa plastica. Un femminismo che ci insegni a riconoscere il poliziotto patriarcale che anche noi abbiamo dentro, e che vogliamo distruggere tanto come la polizia fuori. Scommettiamo su un femminismo che sia un processo capace di liberarci e che sia capace di riconoscere i privilegi che oggi ci permettono stare qui: abbiamo la possibilità fisica di spostarci, non ci hanno deportate, non siamo rinchiuse per una diagnosi o una sentenza, non siamo una delle 80 donne assassinate nel 2015, o delle 17 dall’inizio del 2016.

Non siamo nemmeno nessuna delle molte persone trans, le cui morti neppure si prendono in considerazione nelle statistiche sulla violenza di genere. La Eteronorma esclude e aggredisce ogni giorno, decidendo chi è valida e chi no, in un sistema che castiga la differenza e la dissidenza. Alan**, non ti dimentichiamo, e neanche a moltx altrx. Davanti alla normalizzazione delle violenze, vogliamo costruire una risposta collettiva che organizzi la nostra rabbia. Davanti alla norma etero, resistenza e provocazione costanti.

No, non ci siamo tutte e non ci stancheremo di ripeterlo. Mancano le nostre sorelle imprigionate, le psichiatrizzate, le deportate, quelle che portano sulle spalle tutte le cure alle loro famiglie o alle famiglie di altre-i, quelle che hanno un lavoro di merda e non possono lasciarlo, quelle che vivono relazioni di controllo e di violenza, quelle che non hanno avuto il diritto di migrare.

No, non siamo tutte e non ci fermeremo finchè nessuna mancherà. Il femminismo non può essere solo per bianche, non può essere solo di classe media, per accademiche, cis e eterosessuali. Per questo scommettiamo per un femminismo che faccia scoppiare le frontiere, le prigioni, i privilegi e le taglie. Per questo scommettiamo su un femminismo che vada su sedia a rotelle, che cammini nell’oscurità, che vibri, che si adatti ai ritmi di ognuna, che si accompagni. Un femminismo generato dalle nostre distinte capacità, non le nostre capacità adattate al femminismo.

Un femminismo che metta al centro la cura. Siamo stufe del produttivismo, di essere schiave delle agende, di lavori che ci rubano la vita, che i nostri progetti vitali svaniscano di fronte al ritmo capitalista e finiscano in secondo piano, e noi con loro. Siamo stufe della precarietà affettiva e materiale.

Per questo, stanche, passiamo all’azione:

Ci organizziamo con le nostre vicine per affrontare faccia a faccia gli speculatori del quartiere; condividiamo saperi sulla salute, recuperiamo il riposo e rivendichiamo la pigrizia. Okkupiamo spazi dove incontrarci e tessere reti; ci organizziamo con compagne di lavoro e affrontiamo il capo e l’aggressore; dedichiamo tempo e costanza alle nostre illusioni, ai nostri aneliti e desideri; creiamo gruppi di autodifesa e ci alleniamo; generiamo insieme alternative al consumo e lottiamo per l’autogestione delle nostre vite; ci accompagnamo e ascoltiamo nei nostri processi e riparazioni. Insieme affrontiamo l’abuso da dovunque esso provenga, qualunque sia la sua origine. Mettiamo in discussione le vecchie e nuove mascolinità con colpi e risate fragororose. Impariamo a riciclare, a rubare, a mentire, e lo facciamo senza colpa. Neghiamo essere ragazze fighe per il Capitale e difendiamo le nostre mostruosità.

Scommettiamo su un femminismo che continui ad affrontare apertamente le facce della Politica, che non si conformi, che non si compri, che non si venda, che non creda alle sue politiche truccate. Non vogliamo un femminismo recuperato dallo Stato, e nemmeno un femminismo soprammobile.

Il patriarcato non si distruggerà nelle urne, e lo sappiamo. Non ci adegueremo agli uffici, gli assessorati e le sovvenzioni. Vogliamo un femminismo di lotta costante nelle strade, nelle case e in tutti gli spazi.

Scommettiamo su un femminismo che cominci con ciascuna di noi, che si costruisca con le mani delle nostre amiche, un femminismo collettivo, gomito a gomito, quotidiano e combattivo. Un femminismo che non risponda a gerarchie e a rappresentazioni, un femminismo autonomo e orizzontale.

Scommettiamo su un femminismo che sono molti femminismi, che non è un obiettivo, è un cammino, una posizione davanti al mondo, un punto di partenza. Un femminismo che prende la strada oggi, come ogni anno, per gridare ben forte che LA NOTTE È NOSTRA!

* traduzione fatta con amore e rabbia dalla mia amica Zebra: è il testo di lancio della manifestazione notturna La nit es nostra, che ha inaugurato le giornate femministe di Se va a armar la gorda (Barcelona)

** Alan è un adolescente trans morto suicida alla fine dello scorso anno. ne ha scritto Preciado (qui, tradotto)

quella non ero io

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Photo on 02-04-16 at 11.39 #3

ho fatto un sogno.
ho sognato che ero una persona normale.
che mi innamoravo di una persona per volta – e che ero gelosa, pure.
ho sognato che avevo un lavoro vero
e due figli, perchè una volta che ne hai fatto uno, che non glielo fai un fratellino?
che invece che sentire nel profondo ogni ingiustizia compiuta in qualsiasi parte del mondo
mi piaceva andare in giro per negozi e sapevo approfittare dei saldi.
che quando qualcuno mi diceva “Ma sono solo povera gente che scappa dalla guerra”
ero capace di rispondere piccata “Eh ma anche qua c’è gente che non arriva a fine mese”.
ho sognato che avevo fatto carriera
e che continuavo convinta a farmi la punta ai gomiti tutte le mattine.
che avevo la valigia pronta dal giorno prima di partire
e che c’era sempre qualcuno che mi veniva a prendere all’aereoporto o alla stazione.
ho sognato che quello che avevo mi bastava,
che ero un’isola felice ed egoista
che non avevo neanche un capello bianco a ricordarmi fatiche, preoccupazioni e sconfitte.

poi mi sono svegliata e invece ero io.
e a parte i capelli bianchi, mi andava bene tutto com’era
perchè era tutto mio.

Parole che dice il corpo

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Perché scriviamo?
Per chiarirci le idee. Per fermare un ricordo o per rielaborarlo. Per raccontarci. Per comunicare.
Qualunque sia la ragione per cui lo facciamo, a volte ci sembra di non avere abbastanza strumenti per farlo, come se avessimo bisogno di imbrigliare la potenza della nostra espressione in formati riconoscibili per renderla intellegibile.
E se invece lasciassimo parlare il corpo?
A volte vorremmo che la scrittura fosse un ponte e invece rimane un recinto rassicurante ma chiuso. Un’espressione che rimane muta anche quando sentiamo di avere tante cose da dire.
È possibile trasformare la scrittura, esperienza singola e solitaria, in una pratica di socializzazione?

immagine di H. Passarello dal cabaret L'euphorie du corps rebelle

immagine di H. Passarello – dal cabaret L’euphorie du corps rebelle

Parole che dice il corpo è un laboratorio di scrittura erotica che si svolge in due sessioni: la prima dedicata alla presentazione e analisi dei modelli di rappresentazione letteraria, la seconda piú centrata sul gioco e la condivisione. In entrambe le sessioni sono previsti esperimenti di scrittura singolare e collettiva.

Attraverso l’esperienza del laboratorio proponiamo un avvicinamento alla scrittura erotica come tattica di impoteramento femminista – dalla stanza tutta per sé alla stanza tutta per noi.


L’erotico si colloca tra l’inizio del nostro senso di sé e il caos del nostro sentire piú profondo. É un senso di soddisfazione interiore al quale, una volta sperimentato, sappiamo di poter aspirare. Perchè dopo aver sperimentato la pienezza di questo sentire profondo e averne riconosciuto il potere, noi non possiamo, in onore e rispetto di noi, pretendere di meno da noi stesse.
(Audre Lorde – Usi dell’erotico: l’erotico come potere)

Definiamo scrittura erotica l’ambito formale che interessa corpo, desiderio e sessualitá ma che secondo l’interpretazione di Lorde riguarda, in realtá, la potenza non razionale e non addomesticabile che viene dalle viscere.

Il laboratorio è pensato come misto e strutturato secondo principi di partecipazione femminista, orizzontali e di rispetto reciproco. Riconosciamo il corpo sociale come corpo erotico e l’intento del laboratorio è dargli voce nelle modalitá (che dovrebbero essere) proprie della politica in cui ci riconosciamo e che pratichiamo nelle nostre lotte quotidiane.

 

PAROLE CHE DICE IL CORPO
si terrà
a Roma mercoledí 25 e giovedí 26 maggio dalle 20 alle 22.30 presso ESC atelier (via dei Volsci 159)
a Bologna venerdì 27 e sabato 28 maggio dalle 18 alle 20.30 presso Barrinque, fiera della piccola editoria organizzata da Gateway in collaborazione con CostaArena

Per partecipare è necessario iscriversi scrivendo una mail a ziaslavina@gmail.com.
Il contributo di partecipazione richiesto è di 15 euro.


io e la mia miseria

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non so voi, ma io sono un po’ ossessionata dalla coerenza.

non che riesca ad esserlo sempre – coerente – ma almeno ci provo… e soprattutto nei comportamenti che riguardano l’ambito affettivo-relazionale cerco di non predicare bene razzolando di merda e di non ripetere errori altrui che mi hanno ferita.


per dire, mi è costato anni comprendere il rancore conseguente a un mio rifiuto. non riuscivo ad accettare il fatto che una persona che mostrava un grande interesse nei miei confronti poi non volesse piú saperne di me nel caso l’interesse non fosse ricambiato con la stessa intensitá.
mi offendevo. ci stavo male. rosicavo.

d’altra parte sono sempre stata una grande sportiva e i miei due di picche me li sono presi senza fare grandi storie: le persone che mi piacevano continuavano a piacermi anche nel caso – spiacevole, certo, ma non definitivo – che dopo aver sperimentato l’intimitá la conoscenza non si evolvesse verso la costruzione di qualcosa di piú significativo.
ho quindi sempre pensato molto male di quelli e quelle che sparivano per dispetto, malissimo di chi cominciava ad avere un’attitudine vendicativa o nullificante (non so se funziona in italiano ma questo aggettivo pretende tradurre l’espressione spagnola ningunear che equivale a “cancellare, far diventare qualcuno nessuno”).
se ho cancellato qualche ex amore (inteso nella forma piú espansa del termine) dalla mia vita, non è mai stato per dispetto… fosse anche solo per una questione di orgoglio (inteso come alta consapevolezza di se’), non lasciavo mai spazio alla rabbia derivante da un rifiuto.
d’altronde ho sempre creduto che Chi non ti ama è perchè non ti merita – e nella mia vita c’era abbastanza ricambio per non dovermi preoccupare troppo.
ecco, sará che adesso – complici delle condizioni oggettive derivanti dalla mia collocazione eccentrica nell’arcipelago relazionale che in inglese definiscono seccamente come “the market” – trovo molto piú difficile approfondire in senso amoroso le mie conoscenze, sará che mi faccio vecchia, quindi sono piú intollerante, sará che ho meno pazienza…
la veritá è che sinceramente non so spiegare il perchè, ma recentemente ho avuto il dispiacere di incontrare la mia miseria. e non mi è piaciuta e siccome mi sembra coerente con quello che faccio e dico, qui la condivido.

lui non mi ha voluto.
era stato gentile, alla fine di una festa gli sono rimasta appiccicata e mi aveva invitato a casa. avevamo fatto l’amore all’alba ed era stato bello. mi sembrava di piacergli, ma poi era sparito.
ero venuta a sapere che aveva una specie di fidanzata e di conseguenza avevo fatto tantimila passi indietro, pensando che vabbè, magari capiva che gli piacevo un sacco e…
non l’aveva capito. e la storia non era continuata in nessun modo.
qualche battuta in chat, se ben ricordo – ma da una distanza abissale.
pacifico, all’apparenza.
succede.
sono cose che succedono.

e sono passati anni e ogni tanto l’ho rivisto e lui era sempre gentile e anch’io.
ma l’ultima volta gli ho fatto una specie di dispetto.
una cosa da nulla, vista con gli occhi di una che rivendica rancore, gelosia e tutta sta merda qua.
una cosa orribile, dal mio punto di vista.
una cosa di cui non riesco a smettere di vergognarmi.

stavo mangiando con un’amico. anche lui era in casa.
non l’ho invitato a sedersi con noi e nemmeno a mangiare.
lui ci ha detto un Buon appetito che m’è risuonato dentro come una martellata.
ma ho tenuto gli occhi fissi sul piatto.
cosí lui se n’è andato e quando se n’è andato io ero contenta. e mi facevo schifo allo stesso tempo.

e sono giorni che ci penso e vorrei anche chiedergli scusa, ma non lo so se capirebbe. io ci ho messo un po’ a capirlo e soprattutto ad accettarlo.
mi sono comportata come una miserabile, non c’è molto altro da dire.
a volte succede anche a chi si sforza e crede di avere il privilegio di esser “risolta”.

perchè essere femminista non significa mica esser perfetta, significa esser capace di mettersi in discussione – e di riconoscere anche le proprie incoerenze e miserie.

un tempo per raccogliere

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[un piccolo omaggio alla mia occupazione preferita nei tramonti di fine estate.
scritto e buttato online senza neanche rileggere: sto incartata su una roba impegnativa e avevo bisogno di buttar giù una storia piccola e porca in prima persona]

Photo on 16-08-16 at 19.10 #3 (1)

Raccolgo more nel cammino sterrato appena fuori dal paese.

Ho un vestitino corto di cotone leggero, che mi piace tanto come mi si stringe addosso ma trovo un po’ imbarazzante, per altri versi: è bianco a fiorelloni colorati e mi fa sembrare una che non s’è arresa alla sua etá.

Mio padre usava spesso questo modo di dire. “Una che non s’era arresa” era per lui il sinonimo di una donna disprezzabile perchè incapace di conformarsi coi limiti imposti dall’invecchiamento. Anche quando ancora non avevo una coscienza politica questo giramento di frittata semantica mi suonava proprio strano: una che non si era arresa per me era una rispettabile, quando non ammirabile. Ci ho messo qualche decennio a prendere in considerazione il concetto di ritirata strategica: per indole e ideologia il mio orizzonte era Stalingrado e prenderle pure forte pur di non ammettere “Mi arrendo”. Non era solo la reazione di figlia ribelle: mio padre aveva un universo di valori tutto suo e tutto scombussolato che non era nemmeno ascrivibile al maschilismo semplice, era un casino e basta. In compenso mia madre aveva le ovaie d’acciaio temperato, faceva sempre le cose di testa sua e si vestiva malissimo, da giovane cosí come da vecchia. Diciamo che non le importava molto di come vestiva e questa poca cura per l’apparenza devo proprio averla presa da lei.

È piú di un anno che ho quarant’anni e certe volte mi vesto in maniera ingenua, per cosí dire. Che come oggi lo vedo che questi fiorelloni fanno cagare, peró neanche me ne importa molto in fondo. Forse risulterebbero imbarazzanti pure a vent’anni, sono io che ultimamente mi faccio piú problemi… peró non mi arrendo, questo è certo: la resa implicherebbe la ricerca di un altro vestito e dover pensare a come mi sta e decidere che va bene. Ma bene per cosa? Sto andando da sola a raccogliere more, mica a un colloquio di lavoro e tantomeno a rimorchiare.

È il tramonto. L’estate finisce ma fa ancora troppo caldo per muoversi agilmente sotto il sole. Ogni tanto passa qualche macchina e guardo sempre chi c’è dentro: saró pure una quasi vecchia per l’anagrafe, ma sono sempre una donna sola in una strada isolata.

Le more sono belle gonfie, risplendono in mezzo ai rovi. Il mio cestino si riempie mentre quelle piú molli finiscono nella mia bocca. Le piú grosse sono in alto, impossibili da raggiungere. Penso a quella poesia di Saffo, della mela alta sul ramo piú alto. Mi sento un po’ cosí ultimamente. Alta sul ramo piú alto, irraggiungibile. E pure vestita male.

Mentre ci penso un rovo mi graffia la mano.

Il suono di un clacson. E chi è adesso?

È Andrea.

Lo conosco da dieci anni, lo trovo molto simpatico e anche attraente.

Mi piace ma è quasi sempre fidanzato, quindi gli ho sempre fatto grandi sorrisi ma da una prudente distanza: non mi piace mettermi in mezzo alle storie altrui. E lui è uno preciso: rispetta la sua monogamia seriale e quando è impegnato non s’avvicina affatto.

Si ferma con la macchina, mi chiede se sono buone le more. Io sorrido.

Qualcosa mi fa pensare che con l’ultima ragazzina con cui l’ho visto è andata male.
Me lo conferma: il suo viaggio in Grecia è saltato all’ultimo minuto, sai come sono le ragazzine.

Vorrei dirgli che no, non lo so – lo sa meglio lui perchè non l’ho mai visto accompagnarsi a una di piú di 30 anni ma mi trattengo, perchè suonerebbe male: non ho voglia di mettermi alta sul ramo piú alto. Allora lo guardo e basta e il mio sguardo dice Ho capito. E non come sono le ragazzine, ma quello che vuoi da me, che non sono piú ragazzina da un po’.

Allora dice che anche lui ha voglia di more e che conosce un posto piú avanti e se ci andiamo.
Salgo in macchina col mio cestino e il mio vestito orribile. Mi chiede di me e mentre guida mi guarda.
Io rimango rilassatamente sulle mie.
Arriviamo al posto: alle spalle del rovo c’è un boschetto. È bello, non ci ero mai stata.

Lui mi dice che ci veniva sempre da bambino.

Raccogliamo le more chiacchierando e il sole comincia ad andare giú.

C’è nell’aria quella tensione dei corpi che si chiamano. È quel momento che amo del prima che succeda tutto, del desiderio che frizza sotto la pelle, delle risate imbarazzate, degli sguardi complici. Vorrei che non finisse mai.

Anche perchè è cosí facile rovinarlo…
È piú sicuro fare una battuta cattiva e incrinare la sfera dell’empatia per tornare a mettersi Alta sul ramo piú alto. Mi chiedo se lo faró anche stavolta o se saró capace di giocare.

Decido di smetterla di pensare e di farmi domande.
Entriamo nel bosco.
È bello qui.
Tu sei bella, risponde.
Io non vorrei ribattere ma il mio sopracciglio sinistro si alza da solo.
Prendo una manciata di more e mi riempio la bocca, sperando di riuscire a stare zitta.

Lui forse un po’ capisce, fa la stessa mossa e si avvicina.
Ci guardiamo masticando a bocca piena.
Mi viene da ridere e un po’ di succo di mora scivola dai lati della bocca.
Lui ci appoggia le labbra e poi la lingua.

E poi ci baciamo, un bacio pieno dei semini delle more, che ha il sapore dell’estate che finisce come se fosse una cosa nuova.
Dice che era un sacco di tempo che voleva farlo.

Ora vedo il cielo attraverso gli alberi del boschetto. È buio ormai e si vedono un sacco di stelle.

Prendo una manciata di more e me la schiaccio tra le gambe. Le mutande erano giá partite da un po’. Gli dico sbrigati, che sennó si sporca tutto il mio bel vestito. Lui dice Effettivamente è proprio bello questo vestito.

E poi affonda la bocca, la lingua, tutta la faccia.

E io mi arrendo.

By your side

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laboratorio pornoamoroso per coppie inquiete
21-22 gennaio 2017 a Arti e Tradizioni – Garzigliana (TO)

Puó l’intesa sessuale resistere al logorio del tempo?
Quali sono i segreti di una comunicazione di coppia efficace?
Perché alcune relazioni crescono e altre invecchiano?
Come mantenere viva l’attrazione?

cuttly-fingers

By your side si propone come momento di riflessione attiva e partecipata per coppie in cerca di nuovi stimoli o che abbiano voglia di ripensare la loro vita a due.
Un’esperienza collettiva dedicata al benessere e alla salute sessuale, due giorni di immersione nella teoria e pratica della relazione coordinati da Slavina, pornoattivista e sex coach.
Un weekend pieno di momenti diversi che offriranno alle coppie partecipanti la possibilità di giocare e mettersi in gioco per affrontare con un approccio creativo e positivo le problematiche della vita condivisa. Ripensando insieme le risorse e le ragioni del vivere insieme per ricostruire un ambito di complicità, valorizzare il privilegio di essersi scelti, aprirsi a nuove forme di trasgressione in uno spazio safe.

Temi trattati

– la risposta sessuale nell’uomo e nella donna: affinitá e divergenze
– spazi in comune, spazi indipendenti: l’idea di privato in una dinamica di coppia–cosa scegliamo di condividere, cosa no
– la comunicazione: c’è ancora qualcosa che non riusciamo a dire?
– il tempo dell’amore: come ritagliarsi momenti a due nel tempo alienato della quotidianità
– la gratificazione: quanto conta sentirsi desiderabili agli occhi del/la partner
– conosci il tuo corpo, riconosci il tuo piacere: l’importanza dell’autoerotismo
– quante deviazioni hai? feticismi e parafilie: forme diverse di provare piacere
– sesso orale e anale: anche se pensiamo di conoscerli bene un ripasso non fa male
– role playing, dinamiche di dominazione/sottomissione, bondage: a che gioco giochiamo?

Metodologia
Ogni tema verrà affrontato con una presentazione teorica, una discussione e una dinamica (non necessariamente in quest’ordine).

Target
Il laboratorio è rivolto a coppie unite sentimentalmente da poco o molto tempo, sia etero che omosessuali, poliamorose o monogame. Ogni orientamento sará rispettato, con la consapevolezza che il confronto tra esperienze e opinioni diverse arricchisce. Consegneremo un questionario previo per conoscere anticipatamente le tendenze ed eventuali punti critici di ogni coppia.

Non è richiesto un alto livello di disibinizione fisico (non sará necessario spogliarsi ne’ sperimentare in loco le proposte creative sulle quali ci confronteremo) ma è indispensabile la voglia di condividere il racconto della propria relazione, per farla diventare una risorsa esperienziale collettiva.

Tempistica
Arrivo alle 12 di sabato 21 gennaio. Prima presentazione e a seguire pranzo
Nel pomeriggio attivitá e a seguire cena.
Le attivitá ricominciano domenica 22 alle 10 per concludersi intorno alle 16.30/17

Quota di partecipazione: 170 euro a coppia (la quota comprende tutti i pasti e l’ospitalitá)

Il numero minimo di partecipanti è 10 persone e il massimo 16 – la quota è calcolata sulla base del numero minimo di partecipanti: nel caso si superasse la quota verrá abbassata proporzionalmente.


prenotazioni: andrea@artietradizioni.it – tel: 3385812914

per maggiori informazioni potete scrivere a ziaslavina@gmail.com

e se volete sapere cos’è Arti e tradizioni guardate qui

usos de lo erótico: lo erótico como poder

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(ponencia presentada en el Cuarto Congreso de Berkshire sobre la Historia de las Mujeres, Mount Holyoke College, 25 de agosto de 1978)

Existen muchas clases de poder; los que se utilizan y los que no se utilizan, los reconocidos o los que apenas se reconocen. Lo erótico es un recurso que reside en el interior de todas nosotras, asentado en un plano profundamente femenino y espiritual, y firmemente enraizado en el poder de nuestros sentimientos inexpresados y aún por reconocer. Para perpetuarse, toda opresión debe corromper o distorsionar las fuentes de poder inherentes a la cultura de los oprimidos de las que puede surgir energía para el cambio. En el caso de las mujeres, esto se ha traducido en la supresión de lo erótico como fuente de poder e información en nuestras vidas.

En la sociedad occidental, se nos ha enseñado a desconfiar de este recurso, envilecido, falseado y devaluado. Por un lado, se han fomentado los aspectos superficiales de lo erótico como signo de la inferioridad femenina; y, por otro, se ha inducido a las mujeres a sufrir y a sentirse despreciables y sospechosas en virtud de la existencia de lo erótico.

De ahí sólo hay un paso a la falsa creencia de que las mujeres sólo podemos ser realmente fuertes si suprimimos lo erótico de nuestras vidas y conciencias. Pero esa fortaleza es ilusoria, ya que se concibe en el contexto de las pautas de poder masculinas.

Las mujeres hemos llegado a desconfiar de este poder, que surge de nuestro conocimiento más profundo y no racional. El mundo masculino nos ha prevenido contra él durante toda la vida; los hombres valoran los sentimientos profundos y desean que las mujeres los practiquen en beneficio suyo, pero al propio tiempo los temen y no se atreven a indagar, en ellos personalmente. Así pues, a las mujeres se las mantiene en una posición distante/inferior para exprimirlas y sacarles toda la sustancia, como si fueran esas colonias de pulgones que las hormigas ordeñan para alimentarse.

En realidad, lo erótico ofrece un manantial de fuerza inagotable y provocadora a la mujer que no teme descubrirlo, que no sucumbe a la creencia de que hay que conformarse con las sensaciones.

Los hombres han acostumbrado a definir erróneamente lo erótico y a emplearlo en contra de las mujeres. Lo han equiparado con una sensación confusa, trivial, psicótica, artificial. Por este motivo, muchas veces renunciamos a indagar en lo erótico y a considerarlo una fuente de poder e información, confundiéndolo con su antítesis, la pornografía. Ahora bien, la pornografía es la negación directa del poder del erotismo, ya que representa la supresión de los sentimientos verdaderos. La pornografía pone el énfasis en la sensación sin sentimiento.

Lo erótico es un espacio entre la incipiente conciencia del propio ser y el caos de los sentimientos más fuertes. Es una sensación de satisfacción interior que siempre aspiramos a recuperar una vez que la hemos experimentado. Puesto que habiendo vivido la plenitud de unos sentimientos tan profundos y habiendo experimentado su poder, por honestidad y respeto a nosotras mismas, ya no podemos exigirnos menos.

No es fácil exigirse rendir al máximo en nuestra vida, en nuestro trabajo. Aspirar a la excelencia supone superar la mediocridad fomentada por nuestra sociedad. Dejarse dominar por el miedo a sentir y a trabajar al límite de la propia capacidad es un lujo que sólo pueden permitirse quienes carecen de objetivos, quienes no desean guiar sus propios destinos.

Esta aspiración interna a la excelencia que aprendemos de lo erótico no debe llevarnos a exigir lo imposible de nosotras mismas ni de los demás. Una exigencia así sólo sirve para incapacitarnos. Porque lo erótico no sólo atañe a lo que hacemos, sino también a la intensidad y a la plenitud que sentimos al actuar. El descubrimiento de nuestra capacidad para sentir una satisfacción absoluta nos permite entender qué afanes vitales nos aproximan más a esa plenitud.

El objetivo de todo lo que hacemos es que nuestras vidas y las de nuestros hijos sean más ricas y menos problemáticas. Al disfrutar de lo erótico en todos nuestros actos, mi trabajo se convierte en una decisión consciente –en un lecho anhelado en el que me acuesto con gratitud y del que me levanto fortalecida.

Por supuesto, las mujeres con tanto poder son peligrosas. De ahí que se nos enseñe a eliminar la exigencia erótica de la mayoría de las áreas de nuestra vida, excepción hecha del sexo. Y la falta de atención a las satisfacciones y fundamentos eróticos de nuestro quehacer se traduce en el desafecto a gran parte dedo que hacemos. Por ejemplo, ¿cuántas veces amamos realmente nuestro trabajo cuando nos plantea dificultades?

Éste es el horror máximo de cualquier sistema que define lo bueno en función de los beneficios en lugar de las necesidades humanas, o que define las necesidades humanas excluyendo de ellas sus componentes psíquicos y emocionales; el principal horror de tal sistema es que priva a nuestro trabajo de su valor erótico, de su poder erótico, y a la vida de su atractivo y su plenitud. Un sistema así reduce el trabajo a una parodia de las necesidades, a un deber mediante el que nos ganamos el pan y la posibilidad de ‘olvidarnos de nosotras mismas y de quienes amamos. Esto equivale a vendar los ojos a una pintora y pedirle después que mejore su obra y que, además, disfrute al pintar. Lo cual no sólo es imposible, sino profundamente cruel.

Como mujeres, debemos examinar los medios para que nuestro mundo sea auténticamente diferente. Me refiero a la necesidad de reevaluar la calidad de todos los aspectos de nuestra vida y de nuestro quehacer, y también cómo nos movemos en ellos y hacia ellos.

El término erótico procede del vocablo griego eros, la personificación del amor en todos sus aspectos; nacido de Caos, Eros personifica el poder creativo y la armonía. Así pues, para mí lo erótico es una afirmación de la fuerza vital de las mujeres; de esa energía creativa y fortalecida, cuyo conocimiento y uso estamos reclamando ahora en nuestro lenguaje, nuestra historia, nuestra danza, nuestro amor, nuestro trabajo y nuestras vidas.

Se tiende a equiparar la pornografía con el erotismo, dos usos de lo sexual diametralmente opuestos. Como consecuencia de esta equiparación se ha puesto de moda separar lo espiritual (lo psíquico y emocional) de lo político, viéndolos como aspectos contradictorios o antitéticos, “¿Un revolucionario que es poeta? ¿Un traficante de armas místico? Eso no tiene ni pies ni cabeza”. De la misma forma, hemos tratado de separar lo espiritual de lo erótico y, así, hemos reducido lo espiritual a un mundo de afectos insípidos, al mundo del asceta que aspira a no sentir nada. Pero nada podría estar más lejos de la verdad. Porque la postura del asceta consiste en llevar el miedo y la inmovilidad a sus extremos. La obsesión que lo domina es la más severa abstinencia. Y no es una postura que se base en la autodisciplina, sino en la abnegación.

La dicotomía entre lo espiritual y lo político es asimismo falsa, ya que deriva de una falta de atención a nuestro conocimiento erótico. Pues el puente que conecta lo espiritual y lo político es precisamente lo erótico, lo sensual, aquellas expresiones físicas, emocionales y psicológicas de lo más profundo, poderoso y rico de nuestro interior, aquello que compartimos: la pasión del amor en su sentido más profundo.

Más allá de lo superficial, la expresión “me hace sentir bien” reconoce el poder de lo erótico como un conocimiento auténtico, pues el significado que encierra dicha expresión es la guía primera y más poderosa hacia el entendimiento. Y el entendimiento no es más que una sirviente que cuida del conocimiento nacido de lo más profundo. Y, a su vez, lo erótico es el ama de cría o la nodriza de nuestro conocimiento profundo.

A mi juicio, lo erótico actúa de diversas maneras, la primera de las cuales consiste en proporcionar el poder que deriva de compartir profundamente cualquier empeño con otra persona. Compartir el gozo, ya sea físico, emocional, psicológico o intelectual, tiende entre quienes lo comparten un puente que puede ser la base para entender mejor aquello que no se comparte y disminuir el miedo a la diferencia.

Otra función importante de la conexión erótica es que hace resaltar con sinceridad y valentía mi capacidad de gozar. Así como mi cuerpo reacciona a la música relajándose y abriéndose a ella, atento a sus más profundos ritmos, todo aquello que siento me abre a la experiencia eróticamente satisfactoria, ya sea al bailar, al montar una estantería, al escribir un poema o al-analizar una idea.

El hecho de poder compartir esa conexión íntima sirve de indicador del gozo del que me sé capaz de sentir, de recordatorio de mi capacidad de sentir. Y ese conocimiento profundo e irreemplazable de mi capacidad para el gozo me plantea la exigencia de que viva toda la vida sabiendo que esa satisfacción es posible, y no hay por qué llamarla matrimonio, ni dios, ni vida después de la vida.

Éste es uno de los motivos por los que lo erótico despierta tantos miedos y a menudo se relega al dormitorio, si es que llega a reconocerse. Pues cuando comenzamos a sentirlo profundamente en todos los ámbitos de nuestra vida, también empezamos a exigir de nosotras mismas y de nuestros empeños vitales que aspiren al gozo que nos sabemos capaces de sentir. Nuestro conocimiento erótico nos fortalece, se convierte en una lente a través de la cual escudriñamos todos los aspectos de nuestra existencia, lo que nos obliga a evaluarlos honestamente y a adjudicarles el valor relativo que poseen en el conjunto cíe la vida. Y obrar así es una gran responsabilidad que surge de nuestro interior: la responsabilidad de no conformarnos con lo que es conveniente, falso, convencional o meramente seguro.

Durante la segunda guerra mundial comprábamos paquetitos de plástico herméticamente cerrados de margarina incolora, con una densa cápsula de colorante amarillo que pendía como un topacio sobre la margarina, bajo el envoltorio transparente. Dejábamos que el paquete se reblandeciera y luego pinchábamos la cápsula para que derramase su tinte amarillo sobre el pálido trozo de margarina. Luego amasábamos con cuidado el paquete, una y otra vez, hasta que el color se mezclaba uniformemente con la libra de margarina.

Para mí, lo erótico es como una semilla que llevo dentro. Cuando se derrama fuera de la cápsula que lo mantiene comprimido, fluye y colorea mi vida con una energía que intensifica, sensibiliza y fortalece toda mi experiencia.

Nos han educado para que temamos el sí que llevamos dentro, nuestros más profundos anhelos. Pero cuando llegamos a identificarlos, aquellos que no mejoran nuestro futuro pierden su poder y pueden modificarse. Es el miedo a nuestros deseos el que los convierte en sospechosos y les dota de un poder indiscriminado, ya que cualquier verdad cobra una fuerza arrolladora al ser reprimida. El miedo a no ser capaces de superar las falacias que encontramos en nuestro interior nos mantiene dóciles, leales y obedientes, definidas desde fuera, y nos induce a aceptar muchos aspectos de la opresión que sufrimos las mujeres.

Cuando vivimos fuera de nosotras mismas o, lo que es lo mismo, siguiendo directrices externas en lugar de atenernos a nuestro conocimiento y necesidades internos, cuando vivimos de espaldas a esa guía erótica que hay en nuestro interior, nuestras vidas quedan limitadas por factores externos y nos adaptamos a las imposiciones de una estructura que no sé basa en las necesidades humanas, y mucho menos en las individuales. Mas, si comenzamos a vivir desde dentro hacia fuera, en contacto con el poder de lo erótico que hay en nosotras, y permitimos que ese poder informe e ilumine nuestra forma de actuar en relación con el mundo que nos rodea, entonces comenzamos a ser responsables de nosotras mismas en el sentido más profundo. Porque al reconocer nuestros sentimientos más hondos no podemos por menos de dejar de estar satisfechas con el sufrimiento y la autonegación, así como con el embotamiento que nuestra sociedad suele presentar como única alternativa. Nuestros actos en contra, de la opresión se integran con el ser, empiezan a estar motivados y alentados desde dentro.

Al estar, en contacto con lo erótico, me rebelo contra la aceptación de la impotencia y de todos los estados de mi ser que no son naturales en mí, que se me han impuesto, tales como la resignación, la desesperación, la humillación, la depresión, la autonegación.

Sí, existe una jerarquía. No es lo mismo pintar la verja del jardín que escribir un poema, pero la diferencia sólo es cuantitativa. Y, para mí, no hay diferencia alguna entre escribir un buen poema o tenderme al sol junto al cuerpo de una mujer a la que amo.

Esto me lleva a una última consideración sobre lo erótico. Compartir el poder de los sentimientos con los demás no es lo mismo que emplear los sentimientos ajenos como si fueran un pañuelo de usar y tirar. Cuando no prestamos atención a nuestras experiencias, eróticas o de otro tipo, más que compartir estamos utilizando los sentimientos de quienes participan con nosotras en la experiencia. Y utilizar a alguien sin su consentimiento es un abuso.

Antes de utilizar los sentimientos eróticos es necesario reconocerlos. Compartir los sentimientos profundos es una necesidad humana. Pero, en el marco de la tradición europeo-norteamericana, esa necesidad se satisface mediante encuentros eróticos ilícitos. Estas ocasiones casi siempre se caracterizan por la recíproca falta de atención, por la pretensión de darles el nombre de lo que no son, ya sea religión, arrebato, violencia callejera o incluso jugar a médicos y enfermeras. Y al dar un nombre falso a la necesidad y al acto, surge una distorsión que conduce a la pornografía y a la obscenidad, al abuso de los sentimientos.

Cuando no prestamos atención a la importancia, de lo erótico en el desarrollo y el mantenimiento de nuestro poder, o cuando no nos prestamos atención mientras satisfacemos nuestras necesidades eróticas interactuando con otros/as, nos usamos mutuamente como objetos de satisfacción en lugar de compartir nuestro gozo en la satisfacción y de establecer conexiones entre nuestras similitudes y diferencias. Negarse a ser consciente de lo que sentimos en cualquier momento, por muy cómodo que parezca, supone negar buena parte de la experiencia y reducirla a lo pornográfico, al abuso, al absurdo.

Lo erótico no se puede experimentar de segunda mano. En mi condición de feminista Negra y lesbiana, tengo unos sentimientos, un conocimiento y una comprensión determinados de aquellas hermanas con las que he bailado, he jugado o incluso me he peleado a fondo. Haber participado profundamente en una experiencia compartida ha sido muchas veces el precedente para realizar acciones conjuntas que, de otro modo, habrían sido imposibles.

Mas las mujeres que continúan actuando de acuerdo con la tradición europeo-norteamericana masculina no tienen facilidad para compartir esta carga erótica. Sé por experiencia que yo no alcanzaba a sentirla cuando estaba adaptando mi conciencia a este nuevo modo de vivir y sentir.

Ahora, al fin, voy encontrando más y más mujeres identificadas con las mujeres que tienen la valentía necesaria para compartir la carga eléctrica de lo erótico sin disimular y sin distorsionar la naturaleza tremendamente poderosa y creativa de esos intercambios. Reconocer el poder de lo erótico en nuestra vida puede proporcionarnos la energía necesaria para acometer cambios genuinos en nuestro mundo en lugar de contentarnos con un cambio de papeles en el mismo y manido escenario de siempre.

Pues al reconocerlo nos ponemos en contacto con nuestra fuente más profundamente creativa y, a la vez, actuamos como mujeres y nos autoafirmamos ante una sociedad racista, patriarcal y antierótica.

El texto y la nota proceden de: Audre LORDE, “Usos de lo erótico: lo erótico como poder” (1981/1984/2003), en Audre Lorde, La hermana, la extranjera. Artículos y conferencias, traducción de María Corniero, revisión de Alba V. Lasheras y Miren Elordui Cadiz, Ed. Horas y horas, Madrid, 2003, pp. 37-46. (Texto original: “The Uses of the Erotic: The erotic as Power”, en Audre Lorde, Sister Outsider: Essays and Speeches, 1984)

(via sentipensaresfem, que agradezco)

I’m intersex. You are trans.

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And you are my sister and I love you (¹)

dal laboratorio Sadomaso per principianti a cura di nita

Ho tolto il seno a 21 anni, quando chiesi a mia nonna a chi l’avessero rimontato mi disse: “a quella cori arzate viè a vedè”
stavamo nella stanza della clinica e sotto la finestra stava passando un’attrice con due canotti al posto delle labbra, il chirurgo secondo me aveva studiato pizzo al tombolo perché mi ha fatto un lavoro perfetto al dritto e al rovescio, seimila euro sull’unghia in una clinica convenzionata, cornetto e cappuccino costavano appena 30 euro, na sciocchezza.

Prendo ormoni da 13 anni all’inizio in gel poi ce so andata a rota, ho alzato il dosaggio e ho iniziato a farlo intramuscolare, una puntura ogni 17/18 settimane e stai una favola anzi diventi la favola che ti racconti, il testosterone non mi fa sentire più virile, potente, maschio e soprattutto rabbioso, penso che se sei stronzo ce parti da casa non sono gli ormoni hai proprio un carattere di merda di tuo, al testosterone viene dato un valore maschile riempiendolo di contenuti socio-culturali che una sostanza sintetizzata in se non ha
il fatto che ti faccia venire barba e peli non è indicativo di niente nello specifico, il valore dei simboli muta da soggetto a soggetto e anche i simboli mutano, magari prendi testosterone e poi ti fai la ceretta perché il modello di maschilità a cui vuoi aderire non concerne la presenza dei peli, ogni persona trans viaggia verso un’idea di se che non è mai binaria o non binaria ad esserlo sono le politiche del corpo e sul corpo, noi siamo altro, oltre.

Io non ho mai pensato al mio corpo in termine di accettazione, ho tolto il seno perché ero interessato a raggiungere un’idea di me non a distruggere qualcosa è stato un processo edificante ma nel mio caso qualcosa di più profondo scuote le coscienze delle suorine dentro, la medicalizzazione, essendo una persona intersex devo essere per forza vittima di un intervento, non posso essere un soggetto desiderante e soprattutto in una dimensione in cui il corpo intersex è cancellato attraverso pratiche mediche, transitare verso la propria idea di maschilità è peccato mortale, piuttosto di venirmi riconosciuta una dimensione trans vengo considerato come una persona che auto-elimina il suo corpo, sembra che una persona intersex debba obbligatoriamente vivere una dimensione specifica del corpo non può immaginare e materializzare altro.
Questa prospettiva è il rovescio della medaglia del discorso medicalizzante in cui parimenti non ti viene riconosciuta l’esperienza trans perché la “naturalità” del tuo corpo viene iscritta in una dimensione malata e nel mio caso maschia ed attraverso la diagnosi di un disturbo dello sviluppo sessuale amica vicina e lontana questo protocollo medico da disforia di genere ti diventa protocollo intersex, la sostanza non muta a mutare è la sua concettualizzazione e l’agency del soggetto, infatti se una persona sceglie di transitare è matta, se i medici decidono che devi transitare è tutto nella norma.

Affermare il mio desiderio schiacciato in questa dimensione di disconoscimento totale è stata una fatica indicibile,la medicalizzazione è stata senz’altro fonte di malessere nella mia vita soprattutto perché i dottori desideravano materializzare il mio corpo in un modo che apparentemente corrispondeva al mio ma non nella sostanza, è una violenza feroce ma trasparente come la carta velina, io volevo togliere il seno e loro me lo volevano togliere, dopo aver iniziato ad assumere testosterone mi facevano domande come:
“ti senti forte?” ,”ti senti virile?”, “hai rapporti sessuali soddisfacenti?”
rispondevo di si perché rispondere di no significava fare altre analisi per capire come mai con una dose giusta di ormoni “maschili” non mi sentivo Schwarzenegger, ci sono cascato una volta poi ho imparato a fingere.
La mia integrità era costantemente minata dall’imposizione di un’idea di me che non corrispondeva alla mia idea di me ma che dovevo assumere nel segno della cura, mi era impossibile comunicare il fatto che incarnare la mia idea di maschilità mi facesse e fa sentire in armonia con la mia femminilità ed è per questo che ho scelto di togliere il seno per stabilire un equilibrio tra le mie parti.

In un dibattito costruito in questo modo io non posso intervenire, da una parte sono masochista perché non ho accettato la mia natura, dall’altra un malato considerato biologicamente maschio perché ho il pene, quindi sono uomo quindi la parodia di Big Jim, non posso esprimere la mia corporeità, la mia identità, devo scegliere tra una delle due proposte teoriche, devo interpretare forzatamente uno dei due ruoli.

Mi sono sinceramente rotto i coglioni di vedere la mia esperienza trans costantemente disconosciuta riducendo tutto alla biologia, mi sono preso il diritto di fare come mi pare con il mio corpo senza chiedere il permesso a nessuno e immagino il problema sia questo così facendo non sono più funzionale ad un discorso biologizzante e per questo normativo (sia se fatto nell’istituzione medica o al di fuori di essa) allora devo stare zitto, è ora di farla finita è ora di buttare questi discorsi nel cesso insieme a chi li fa, è ora di ascoltare le persone non di continuare a parlargli sopra e dirgli come si devono definire e cosa devono fare con il corpo altrimenti sono binarie, cisgender, non si accettano, non si piacciono ma de che cazzo stamo a parlà?
Immagino faccia molta difficoltà pensare ad un corpo trans al di là della rappresentazione stereotipata che si ha e fa di esso, come fa difficoltà lasciare all’altro il diritto di dare significato a ciò che vuole, se sei intersex il significato ce lo ha la violenza medica, ce lo hanno i cromosomi, mi piacerebbe sapere queste certezze da quale pippe mentali vengono perché qui ad essere studiati dovrebbero essere altri comportamenti, qui il problema serio nella vita ce lo ha qualcun altro, qui a non accettare la realtà non sono io.

Sono cosciente di vivere una dimensione altra e sotto alcuni aspetti privilegiata dell’esperienza trans infatti con l’operazione e l’assunzione ormonale mi sono anche tolto da una dimensione di marginalizzazione sociale esattamente il contrario di quanto accade a molte persone, non ho mai avuto problemi di rettifica dei documenti ne ho dovuto farmi diagnosticare la disforia di genere per accedere alla pratiche trans, posso fare passing e a volte lo faccio -spudoratamente- non mi vergogno per questo piuttosto lo problematizzo.

La mia esperienza dimostra l’inesistenza della disforia di genere e la possibilità di tramutare l’ iter medico intersex in un esperienza edificante come quella trans è questa la strategia che ho adottato per rendermi soggetto attivo di un discorso in cui sono l’oggetto
non credo sia l’unica prospettiva possibile per risignificare la propria esperienza di vita ma credo fermamente che un soggetto intersex possa emergere solo dando centralità alle proprie pratiche di r-esistenza.

Sono uomo, transito nelle molteplici dimensioni della maschilità senza maschi.
Stacce.

di Lorenzo Santoro

(anche qui)

(¹) Antony and the Johnson. “You are my sister”. Anohni, 2005.

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